Per quelli della mia generazione (X) i Marlene Kuntz di Cristiano Godano rappresentano la ferocia e la coerenza della musica, la poesia abrasiva delle parole, la spinta intellettuale alla vita – che nessuno si senta offeso – e un modo tutto personale di intendere il suono come vettore generativo, “digestivo” della realtà. Le parole di Godano, poi, precise e taglienti, scontano da sempre libertà di pensiero correlati ai suoni dei MK (quest’anno ricorrono i 30 anni dall’uscita dell’album Catartica) puri e dissonanti, senza sconti per nessuno, a partire da noi stessi, sino ad abbracciare l’e(s)terno-mondo.
Raggiungiamo Godano nel bel mezzo di un obnubilante pomeriggio estivo, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro Il suono della rabbia (il Saggiatore, € 19,00) dal chiarificante sottotitolo, Pensieri sulla musica e il mondo, che raccoglie in circa 300 pagine gli interventi che la voce dei MK ha scritto negli anni su Rolling Stone mitica rivista musicale, a cui si aggiungono postille scritte da lui medesimo sui testi dei MK (una vera manna per i fan, e non solo) e poi ingegni, opere e dissonanze attorno al fuoco dei nostri giorni.
C’è un’intervista a Jeff Buckley del 1994 (qui) in cui il giornalista gli chiede quali fossero le sue ispirazioni, lui risponde: “la disperazione, la gioia, il dolore, i (Led) Zeppelin”, La rabbia del titolo del tuo libro invece cos’è, e da dove arriva?
«Credo che sia una logica prosecuzione di una sorta di frustrazione per come è messo il mondo, visto e considerato che il libro – con tutta la cautela e la misura del caso – si occupa delle “cose del mondo”, e di noi che ci viviamo; penso dunque sia ragionevole essere frustrati per quello che c’è attorno a noi, della deriva, o quantomeno di questa realtà che non possiamo certo dire sia la più rosea delle prospettive».
Il Novecento è stato il secolo della speranza nel futuro, nel credere nel progresso, attraverso il quale il nostro domani sarebbe stato migliore, in questo senso la tua posizione è post-novecentesca?
«Premetto, come scrivo nel libro, che sono stato sempre “non contro” la tecnologia, detto questo, stando al di qua delle considerazioni filosofiche intorno al Novecento – epoca della quale non sono certo un consapevole esperto – al di là di tutto, dicevo, temo che sia un po’ difficile oggi nutrire qualche speranza. Se poi il discorso lo focalizziamo sulla componente tecnologica, in questo momento della nostra esistenza, con la “faccenda di Internet”, ecco che allora posso tranquillamente dire che ho opinioni negative, in modo consapevole, di ciò che grazie alla Tecnologia sta succedendo».
Nel libro passi in disamina alcuni concetti: richiami il “capitalismo della sorveglianza”, le “libertà” al tempo dei social network, alla famosa somma (2+2=5) di orwelliana, oltre che Radiohead-iana, memoria. Lo stesso, nonostante la posizione caustica, in controluce, sembra che tu sostenga l’ipotesi che riusciremo a superare le crisi contemporanee con la bellezza e la poesia. In che modo, ti chiedo, e senza morire poveri? E cos’è, per te, il futuro?
«Sono sempre stato romanticamente persuaso dell’idea che sentimenti alti, connessi alla bellezza, possano essere utili se non salvifici. La nostra mente qui va subito alla famosa frase usata da Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo” (si riferisce alla citazione dall’Idiota di Dostoevskij, riguardo le parole che lo scrittore mette in bocca al principe Myškin, protagonista del romanzo ndr), per me però il “bello” non è soltanto ciò che è utile a se stessi ma come forma di contaminazione. Credo poi nella gentilezza, e non a caso nella canzone Pensa mi rivolgo all’ascoltatore come se fosse mio figlio (il ritornello del testo dice: “Ci vuole poco e otterrai una verità / La gentilezza è carismatica / Allieta chi la riceve e chi la dà / Stordisce il male e la sua banalità” ndr); e, continua Godano: «La gentilezza è carismatica, in tal senso è uno dei valori “puri”».
Cos’è “puro”?
«Puri sono i valori non contaminati dalle consapevolezze abbruttenti e dalle malizie, che ci mettono in diretta connessione col cuore e non solo con la mente, e che possano agire sulla sfera sociale; un altro termine che mi piace, in questo senso, è “ingenuità”: anche in questo caso essere ingenui significa non essere maliziosi nei confronti del mondo, e che sconta per me un modo positivo di assorbire in modo fruttuoso ciò che ci circonda, in questo senso lo è anche l’ispirazione. Di questi tempi mi sembra che la ‘deriva’, le brutture là fuori come dicono gli inglesi, siano così soverchianti che non possiamo farci molto. Ho una specie di convincimento frustrato, che questo “qualcosa” stia diventando incontenibile (mentre ascoltiamo Godano vengono in mente le intuizioni del primo film Matrix dei fratelli, ora sorelle, Wachowski ma anche: la guerra in Ucraina ordita da Putin; l’orrore nella striscia di Gaza; il Neuordnung nazional-populista voluto da Orbán, Bolsonaro, Milei, Trump a soli due giorni dall’attentato del ragazzino che gli ha sparato con una di quelle stesse armi, però, che l’ex presidente ora vittima vorrebbe continuare a vendere nei supermercati americani ndr), dunque se le cose stanno veramente così – continua Cristiano Godano – è facile intuire perché io intraveda con difficoltà una speranza di miglioramento, di più: personalmente, considero uno sbaglio fatale non essere riusciti a fare quel che già si sarebbe dovuto fare con Internet, ovvero porre da subito delle regole, alla nascita della Rete. Ora vedo la stessa cosa con l’Intelligenza Artificiale. E se pur, come si dice, “La speranza è sempre l’ultima a morire”, mi parrebbe al limite un esempio di volontà ottimistica. Ciò detto la tecnologia è una gabbia, ma il “vero” problema oggi è il riscaldamento climatico».
Da qualche tempo sei impegnato con Telmo Pievani in Canto d’acqua uno spettacolo scientifico-creativo sull’acqua (e la correlata siccità), quanto sono importanti le narrazioni ambientali?
«In linea teorica sono cruciali, se c’è un’idea decisiva che mi ha fatto ritenere che arte e scienza debbano ritrovarsi a braccetto su questo tema, be’ ha molto a che fare con la Scienza che sicuramente è in grado di avere i dati, ma forse non ha (avuto) il linguaggio adeguato per convincere|arrivare al grande pubblico, forse proprio perché si è rivolto al raziocinio della gente, il che ha prodotto a volte indifferenza quando non negazione, in questo invece, forse, l’arte con il suo linguaggio è maggiormente in grado di aprire alle suggestioni».
Per arrivare a cosa?
«Partendo da una sensazione di smarrimento, che mi appartiene, direi che si tratta di scongiurare il pericolo, o contenerlo il più possibile: l’avverarsi delle catastrofi climatiche. Se ci si riuscirà oppure no, ci sarebbe molto da dire, connettendo il pessimismo al raziocinio, e considerando che solo l’ottimista si racconta illusioni; io per me vedo invece solo due possibili strumenti che possano evitare il peggio: 1) la consapevolezza delle persone: per comprenderlo faccio un esempio estremo, cosa succederebbe se – per incanto – domani l’80% dell’umanità chiedesse a gran voce di andare oltre le convenienze economiche, che sia la teoria della decrescita oppure altro, non lo so, potrebbe persino essere un sistema oltre-economico, ecco che allora i politici e le lobby andrebbero lo stesso verso quella direzionea; 2) la creatività dell’umanità ovvero che, per qualche ragione, negli anni a venire la Scienza o chi per lei trovi le soluzioni, penso alle soluzioni di geo-ingegneria che stanno fiorendo, anche quello però sarà un tema, penso ai complottasti che, grazie alla Rete, mettono in relazione l’inquinamento con le scie chimiche… ecco, questo lo trovo frustrante e trovo e in questo senso Internet ha favorito il dilagare della ‘chiacchiera da bar’ come la definì Umberto Eco nel 2015 durante la consegna dell’ennesima laurea honoris causa (si può leggere qui: “I social network sono un fenomeno positivo ma danno diritto di parola anche a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Ora questi imbecilli hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel” ndr) … e se lo diceva il professor Eco».
N.B. Il prossimo appuntamento con Canto d’acqua di Godano-Pievani va in scena domani 16 luglio dalle 21:00 al Belvedere di La Morra (CN), info QUI
Ne Il suono della rabbia c’è un richiamo alla questione Orwell vs Miller ovvero autore impegnato (politicamente, socialmente) vs autore estetico|intrattenimento pop…
«Soffermandomi al binomio Orwell-Miller, posso dire che sono sempre stato milleriano, ho sempre dato estrema importanza estetica a ciò che facevo, ho sempre lavorato per produrre qualcosa che fosse artisticamente bello e rilevante, almeno secondo le mie idee, facendo in modo che contenuto e forma andassero necessariamente insieme, convergendo verso un esito artistico rilevante; poi negli ultimi anni mi sono reso conto che c’era una parte di me, della mia voce che non era (ancora) venuta fuori: il cosiddetto “impegno etico | civico | politico” e me ne sono reso conto proprio quando ho incominciato a scrivere per Rolling Stone, quando ho cominciato a scrivere articoli anche molto lunghi, almeno per gli standard dell’online, dove ho cercato di catturare l’attenzione della gente su alcuni temi per me importanti, al contempo cercando di mantenere l’estetica pure con una parte di contenuto che aveva però una leggera preponderanza, anche se credo che questo atteggiamento resterà svincolato dalla creazione artistica con i Marlene, per esempio, o i miei progetti solisti».
A un certo punto nel libro parli di musica e morte, ovvero – scrivi – della vita. Ora, lì, dai anche una Top 6 (a parte Nick Cave) e un discorso su fede e religione; ti chiedo allora cos’è e dov’è il sacro per te oggi?
«Sono costretto a rivelare, e a svelare, che sono in una fase della mia vita dove prevale una sensazione pessimistica: mi trovo in un momento nel quale mi sto interrogano sui “perché” dell’esistenza, e della spiritualità, e non so se questa fase durerà per sempre oppure un giorno torneranno agganci spirituali confidenti che mi porteranno a credere, di nuovo, in sensazioni diverse, posso solo dire che oggi sono – discretamente – sganciato dalle questioni spirituali e, tutto sommato, anche dalla sacralità; in questo momento sento, piuttosto, che la vita è quello che è accaduto su questo pianeta qualche miliardo di anni fa, quando alcune cellule hanno preso a organizzarsi e poi si sono incontrate con l’acqua, e… diciamo così, a quel punto, sono successe cose, nel giro di qualche miliardo di anni. Ecco è questo contesto evolutivo nel divenire imperscrutabile, che mi viene alla mente oggi se penso al concetto di Vita in generale, mentre noi come umanità facciamo la nostra comparsata e semplicemente, a un certo punto, togliamo il disturbo», e chiude con una confessione il cantautore, frontman dei Marlene Kuntz, nonché autore de Il suono della rabbia: «Io odio la morte, la considero un sopruso, provo orrore nei suoi confronti, a volte mi trovo a giustificare chi si pone la legittima domanda se, forse, in fondo, non era meglio non nascere nemmeno», ma mentre lo dice, Cristiano Godano, sorride cauto, dubitando infine, e per fortuna, persino di se stesso.