Israele blogdiary giorno 4

La mattina inizia alle 7, vado a fare colazione ma la sala ancora non è pronta, e allora vedo un cameriere e chiedo, Buongiorno posso fare colazione, lui risponde con le dita, No alle 8, Ma scusi, continuo occidentale ottuso, Lì, indico una porta, Lì, insisto, c’è scritto che si inizia alle 7, allora lui per tutta risposta alza le spalle e chiude la porta, a chiave. Da qui capisco che non sarà una bella giornata.
Invece poi è tutto in discesa. Prima attraversiamo la green line, la zona bassa sotto i punti di osservazione sulle colline che dividono Israele dalla Palestina, dove un tempo era il regno di Samuel, e in seguito le fortezze dei crociati.

Alle 10 di mattina può essere facile non riuscire a fare la degustazione e visitare una cantina di vini, ma invece ci riusciamo, splendidamente. Assaggiando pesto e pomodorini gialli, fa 18°C. Di solito in questa stagione, mi dice il nostro autista arabo, Di solito in questa stagione nevica.
Chiedo allora al nostro ospite del vino cosa ne pensa, se è causa del climate change. Certo che sì, mi risponde, Ma a me interessa solo la collina qua sotto dove ci sono i vigneti, “quello” – il climate change – è una cosa troppo grande.

Forse è questo allora, forse bisogna ridurre i concetti a poco e facile. Il kibbutz è lo Tzuba, un giro ancora. Mi appunto un altro concetto allora.
Se il capitalismo ci stringe nel ciclo di produzione gentile – produrre, consumare – altrettanto qui si impone un ciclo di vita non per gli individui ma per la collettività. E io tra i due estremi sceglierò sempre la foresta.
Lungo il fiume Sarec passano gole e anfratti, alberi e paesi arroccati come piccoli presepi, di qui si arriva al Moshav Tel Shahar dove si allevano capre, che producono latte: facciamo anche il nostro primo formaggio primo sale e andiamo a vedere la vita che nasce, una vita che ha appena 3 ore.

Accanto c’è l’AgroCafé un progetto piuttosto interessante grazie al quale una compagine israeliana coltiva in Colombia una piantagione di alberi da caffè, coltivazione poco remunerativa, sembra, rispetto agli avocado e al cioccolato, ragion per cui, scopro con orrore pare che ci sarà sempre meno caffè da qui al 2025 e il prezzo arriverà a triplicare, in certi casi. Solo buone notizie, lo sappiamo (il 37% del caffè del mondo lo produce il Brasile, il 17% il Vietnam, l’8% la Colombia).


Arrivati a Gerusalemme ci tuffiamo subito nel coloratissimo mercato Mahane Yehuda. La bellezza dello scambio della merce e i denari, tra gli uomini, che quando non sono vendita per profitto, possono persino essere gioie e colori. Tra poco si scende a cena, più tardi la Città Vecchia.