Non devi dirlo a nessuno (Einaudi, Euro 17,50) secondo romanzo di Riccardo Gazzaniga – genovese, classe 1976, Premio Calvino – inizia e finisce con due ragazzini, fratelli, Luca di 13 anni Giorgio di 10 che, dopo aver visto l’uomo nero nel bosco, in qualche modo, riescono a scamparla, non del tutto, non indenni, tra i patimenti del cuore, in quel momento preciso della vita in cui ti stai per affacciare davanti al baratro della crescita e dopo, non lo sai ma lo percepisci, mai più niente sarà lo stesso. Fine delle anticipazioni e dei temi di base, analisi del testo.
Questo secondo di Gazzaniga è un romanzo di formazione, nel senso (anche) di calcio. Giorgio veloce sulla fascia, Luca in quello strano momento dell’adolescenza in cui non sei più bambino ma non credi ancora in te stesso. Se mai ci crederai, da grande.
A Lamon, paesino sulle montagne del Veneto dove tutto si svolge – luogo della “materna” Belluno per l’autore – c’è l’aria buona. Alberi e boschi dove anni prima un bambino è scomparso, e in paese si mormora sia stato il Mussat, l’uomo selvatico, il matto del paese, grande e grosso, il diverso.
Non dirlo a nessuno è un libro che parla della paura buona, la paura bianca, quella a ridosso dell’adolescenza, quel momento specifico in cui i pericoli si annidano nel bosco, o nelle soffitte buie, quando i mostri non sono in carne e ossa ma effetti dello straordinario, immagini di un fantastico mitopoietico, antropomorfo, dinoccolato e storto come storte sono le ossa che ti si allungano, i peli pubici, il primo limone con la ragazza tettuta, anche se te ne piace un’altra, in questo caso: a Luca piace la bellissima Chiara, ma a Chiara piace il figo Samuele con orecchino+motorino, Luca piace a Marica che a Luca non piace ma ha delle gran tette, che a Luca ricordano quelle che ha visto sui cataloghi di lingerie della nonna, oppure alle trasmissioni tipo Colpo grosso o Drive In.
E allora tutto si maschera e confonde, i sentimenti, le intuizioni, le paure e le certezze di una vita che cambia, sta già cambiando (e Luca se ne accorge guardando sua madre Francesca che prima litiga con suo padre Tommaso, poi esce tutta truccata e felice). E’ un mondo di ragazzini, questo. Un mondo di ragazzini che si salvano, e ci salvano. Mentre il mondo dei grandi crea disastri e distrugge vite, e però come nella Fisica, a ogni azione corrisponde reazione. E se Tommaso fa il magistrato, poco a poco la nebbia si dirada, la giustizia fa il suo corso, e la storia si snoda fra i sentieri, tra aghi di pino e vecchie leggende.
Gazzaniga scrive un romanzo di formazione, e siccome l’autore è nato nel ’76, quarant’anni fa nel mondo erano gli anni Ottanta (cfr.spalline gialle della foto sotto) – la Macintosh ora è diventata iMondo, il muro di Berlino è caduto, e Andreotti non c’è più, forse – ritroviamo nella narrazione personaggi e oggetti di un tempo passato: Alessio, il migliore amico di Luca, che fa l’imitazione di Boskov, mitico allenatore della Samp di Vialli e Mancini, che sapeva regalare perle di saggezza calcistica: “rigore è quando arbitro fischia” o “grande giocatore vede autostrade dove altri solo sentieri”; i Levi’s e le Reebok con cui ci sentivamo eleganti (vedi Marthy McFly su Ritorno al futuro); Mark Lenders e i primi cartoni animati giapponesi: Holly e Benji, L’Uomo Tigre; e tanta tanta musica (per chi scrive discutibile ma de gustibus): i Queen, gli Skorpions, ma soprattutto quel Jon Bon Jovi che a un certo punto diventa il fantasmagorico, la coscienza buona/cattiva, l’amico immaginario.
E così mentre Luca, una sera a cena in pizzeria, pur di conquistare la bella Chiara, rinnega il suo rock a favore degli odiati Jovanotti e De André, quel Bon Jovi icona maschia del rock trasmuta la buona novella del gallo nella testa di Luca e cristologicamente lo assolve: “Prima che la tua pizza finisca mi avrai tradito tre volte”.
Un libro-generazione nel quale fa la sua apparizione anche la gommina Simmons, il ritratto X di un’età in cui gli ormoni la fanno da padroni, “la prima sega” come avrebbero detto i Csi qualche anno più tardi, e poi le tette appunto, quando non insieme le seghe sulle tette, con tutti gli accorgimenti e i sensi di colpa del caso.
Ma il modo di scrivere di Gazzaniga è sempre così, facile, immediato – come già in A viso coperto (sempre Einaudi) con una scrittura coerente con il personaggio del ragazzino, e la voce di Luca è quella di un tredicenne che si scopre, e dunque scopre il mondo, in modo immediato, non sofisticato e, per questo, ingenuamente vero.
Il memorabilia di Non devi dirlo a nessuno riprende un altro tema importante, quel nucleo tematico che da qui sembra così caro all’autore, l’arrivare secondi: così spunta il nome di Dorando Pietri, l’eterno ultimo della maratona, e tramite l’emblema Pietri, la trasfigurazione della fatica dorandiana, chi conosce Gazzaniga fa 2+2 e pensa al post su Peter Norman – l’australiano che arrivò 2° ai giochi olimpici di Città del Messico ’68 dietro Tommie “black panther” Smith, v.sotto a sinistra – storia che Gazza ha postato online (qui l’articolo) e che l’anno scorso ha totalizzato 4 milioni di visite.
Il giro di vite al Drive In scorre lansdalianamente senza intellettualismi aggiunti, è narrazione pura. I ragazzini protagonisti di Gazzaniga, come i quattro di Stand By Me del mentore Stephen King, raccontano con le loro vite molto di più, e meno, e meglio, del proprio tempo, che è il tempo collettivo, l’età che tutti abbiamo vissuto, e superato, per approdare al mondo degli adulti. Intuiscono così i ragazzini, del reale, qualcosa di più e di più effimero, perché sanno perdersi nei boschi, leggeri, pur di arrivare a credere in se stessi. Ai sogni. Ché: “I boschi sono tutti collegati, se conosci i sentieri”.