Riprendo consapevolezza, mi sento ferito, ma ha ragione.
Curzio Maltese ieri sul «venerdì di Repubblica» ha titolato la sua rubrica contromano, «I giornalisti italiani muti
come Vittorio Mangano». Nell’editoriale si parla di Berlusconi che, durante la
campagna elettorale, è stato in grado di definire Vittorio Mangano, suo ex
fattore, accusato di reati mafiosi, un «eroe». Perché «non ha detto nulla su di
lui e su Dell’Utri ai magistrati». La notizia ha girato in tutto il Mondo. Non
qui in Italia. Si doveva festeggiare per il nuovo Governo.
Berlusconi è uno dei leader politici che rappresenta la
democrazia e la civiltà occidentali. Vittorio Mangano era pupillo di Stefano
Bontade e capomandamento a Palermo centro. È morto in carcere a Pisa nel 2000,
con due ergastoli da scontare per triplice omicidio, condanne per traffico di
droga, inflittegli durante il maxiprocesso istituito da Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino.
Berlusconi, che si sia a favore o contro, rimane un uomo che
è sulla scena politica da 20 anni, sul Mercato da sempre, segno di capacità e
costanza. Rimane difficile comprendere, dunque, come un leader politico attento
(come lui) abbia definito «eroe» un
pluriomicida.
Io di cognome Mangano mi ricordo solo un’attrice bellissima,
Silvana, protagonista di un film complesso (i padroni, le clandestine, il lavoro nei campi…), Riso amaro. Lo
stesso che molti, leggendo frasi pronunciate dal nostro nuovo presidente del
Consiglio, probabilmente si trovano a trattenere ora. Io la penso come Maltese.
Non credo che «L’unica vergogna di Palermo, agli occhi del mondo, (sia) una
sola: il traffico». Ma per fortuna, anche la mia come quella di Maltese, è una valutazione singola, circoscritta…