Sulla strada ancora, Paolo Rossi porta a teatro il suo
nuovo spettacolo. Fino al 22 novembre al Piccolo
di Milano. Entra in scena con la maschera da Joker. Un monologo che scorre veloce, che racconta le ragioni della mancata
messa in scena dell’Ubu roi di Alfred
Jarry, maestro indiscusso del'Otto-Novecento, da parte del «piccolo attore». Ubu ennesimo avido simbolo grottesco del
Potere contro cui Rossi da sempre combatte attraverso i suoi spettacoli (in Sulla strada parla poco durante le oltre
due ore dell’attuale «regime italiano», ma male: si dice dispiaciuto
soprattutto del fatto che «almeno quando c’era il re, prima, i giullari
facevano i giullari e il re faceva il re. Erano due cose diverse!» adesso con
Berlusconi invece…).
Il
monologo di Paolo Rossi inizia con il racconto del naufragio dello spettacolo
dell’Ubu, la scena è momento di
terapia di gruppo, luogo attraverso il quale il capocomico mette di fronte alla
sala le sue debolezze, i suoi deliri organizzati. Una dialettica senza ruolo, collettiva,
in cui la presenza dell’attore – come nel teatro classico – funge da guida e
oggetto appena, un semi-simbolo che parla al pubblico mischiando il gioco delle
parti, la catarsi, confondendo di proposito le acque, lo fa con la patafisica del
gesto, a recuperare il pensiero libero.
Sulla strada ancora, «on the road again» viene da pensare
a un novello – basso – Kerouac, è il percorso dell’artista in balìa della vita
che naufraga, barcollando consapevolmente, guardandosi intorno però, imparando
a svoltare la giornata ascoltando le storie che arrivano dalla strada, la
Grande Maestra. Il testo è vita vissuta trasformata dall’arte
dell’osservazione, lo sguardo cinico e subdolo che contraddistingue da sempre
il teatro di Paolo Rossi (come dimenticare la storia dell’infida cutrettola ndr): impietosamente, l’attore ripercorre
le tappe forzate di uno dei tanti naufragi: le compagnie dei teatranti (persi
nel «ruolo»), il senso di delusione, la solitudine e la rovina a cui tutti
siamo destinati… Ma è un percorso esilarante del fallimento: dal diavolo a cui
Rossi vende il… non la faccia diciamo! pur di avere indietro soldi-donne&successo;
alle cure di disintossicazione nella clinica gestita dai contorti psichiatri
repressi; agli incontri surreali con dio che fa guarire Kaufmann solo per farlo
tirare sotto da un camion (da applausi gli sketch su gesù e giuda, traditore
amico che però incontra Andreotti…; quello del dio che gioca a golf, e di dio e
il giocatore di black jack…).
Chi
segue questo piccolo grande attore (da Romeo
e Giulietta al Signor Rossi e la
Costituzione) che tira in mezzo tutto: i testi di Cechov, Shakespeare, quelli
di altri autori (da sempre vicini all’artista come Stefano Benni, Carolina de
la Calle Casanova, Renato Sarti). Perché nel teatro senza maiuscole si usa
tutto: la battuta e la canzone accompagnata dalla chitarra scordata, l’estemporaneità
e la «finta improvvisazione», le barzellette e il dialogo col pubblico, la
satira grottesca e la voce bassa e gutturale, l’arte del mimo («Ho fatto un
corso di tre mesi poi mi hanno cacciato: parlavo troppo!»), la camminata
stordita dei personaggi che lo hanno reso celebre – come lo scoordinato guru con la «r» moscia e
cavernosa che tanto ricorda il matto del villaggio di fronte al quale, in altri
spettacoli, si trovava un Attila allibito: «Ma siete certi o siete gli unni»?-.
Sulla strada ancora è uno spettacolo su uno spettacolo
mai fatto. Una grande, lucida, lezione «di scuola». Da un indiscusso maestro
del teatro.