“Pirates” la mostra al National Maritime Museum di Londra


dalla nostra navigatrice dei 4 mari, Miriam Gregorio

Ha aperto al National Maritime Museum di Greenwich, Londra, la più grande mostra sulla storia della pirateria dei tempi recenti.
Sede del principale museo marittimo del Regno Unito, con artefatti che documentano la storia marittima mondiale e quella navale britannica, il Maritime Museum punta stavolta lo sguardo verso i “cattivi” del mare, e lo farà fino al 4 gennaio 2026.


Ad accogliere il visitatore all’ingresso è colui che ha lanciato il brand stesso dei pirati: il Pirata per eccellenza, quello di fronte alla cui bandiera le navi invertivano la rotta, terrorizzate. Quello il cui nome ancora oggi tutti conoscono, a distanza di trecento anni. Barbanera.
La sua iconica immagine – chissà se poi fosse effettivamente quello il suo aspetto: questo è uno dei tanti misteri che lo avvolgono – scruta il turista che osa addentrarsi nei meandri della Storia, tra mito e realtà.
Da Long John Silver de L’isola del tesoro a Capitan Uncino, passando da Jack Sparrow a Guybrush Treephood di Monkey Island. La prima parte della mostra è dedicata all’immagine dei pirati, la pirateria nei media.

Romanzi, spettacoli teatrali, film e videogiochi ci hanno raccontato fino a oggi di bucanieri e filibustieri singolari e coraggiosi, alimentando le nostre fantasie e creando personaggi affascinanti, devoti tanto alla libertà quanto alla ricerca dell’oro. Ma la verità potrebbe essere po’ diversa. Dopo il tuffo nella pirateria pop, si arriva al cuore della mostra (intitolata semplicemente Pirates): la sezione dedicata all’Epoca d’Oro di questo fenomeno. Fu infatti a cavallo tra il 1600 e il 1700 che nacquero i miti e le leggende che sono giunte fino ai giorni nostri, di bocca in bocca. Alcuni di questi miti vengono finalmente sfatati (no, nessun pirata usava la “camminata sull’asse” come punizione), per altri la verità sta forse nel mezzo… lascio a voi scoprire se qualcuno, ad esempio, avesse mai seppellito davvero da qualche parte il proprio tesoro.

Per un’epoca storica e un fenomeno poco documentati, vengono chiamati in causa esperti e testimonianze, diari di bordo e proclami del Re che ci parlano più da vicino di chi fossero, effettivamente, questi briganti del mare. Cosa li spingeva a darsi alla pirateria, pur sapendo che il rischio, se catturati, era morte per impiccagione? Quali erano le dinamiche di questa “professione”? Com’era la vita a bordo? Quante erano le piratesse donne? E gli schiavi? Li liberavano o li catturavano? Ma soprattutto: erano eroi che si battevano contro il sistema delle monarchie, o delinquenti senza alcuna ambizione, se non quella di tracannare rum non appena arrivati in porto?

Attingendo a fonti storiche e interviste con studiosi della materia, viene fatta luce sui diversi temi e vengono dipinti i ritratti di alcuni dei più celebri personaggi. Edward Teach, o Barbanera, lo scozzese impiccato sul Tamigi William Kidd, le piratesse Anne Bonny e Mary Read, il “Re dei pirati” Henry Avery, scomparso nel nulla con un bottino del valore di 100 milioni di sterline attuali… e ancora Henry Morgan, Black Cesar, Calico Jack, Bartholomew Roberts. In una professione dove la fama, e il nome, erano tutto (era preferibile che alla vista della bandiera pirata, gli equipaggi catturati si arrendessero senza combattere, risparmiando così ai filibustieri tempo ed energie preziose), questi nomi all’epoca causavano la pelle d’oca a chiunque andasse per mare.

Viene spontaneo chiedersi cosa ne penserebbero oggi Teach, Bonny, Avery e Morgan all’idea che i loro nomi echeggiano nei corridoi di quello che ai tempi fu la residenza ufficiale dei marinai in pensione della Marina Militare, coloro che per decenni hanno dato la caccia a chi si definiva “Fratello della Costa” (pirata).
Sezione interessante è quella dedicata alla pirateria nel mondo. Non solo Caraibi e Inghilterra, ma anche i mari di Turchia, Cina e Sud-est asiatico sono stati infestati da questi predoni.
I dipinti di attacchi di pirati barbari sono accanto alla bandiera ottomana e a un approfondimento su Zheng Yi Sao, piratessa cinese che nell’Ottocento fu a capo di una flotta di 80.000 uomini e 1800 vascelli. La sua armata non fu mai sconfitta, lei non fu mai catturata.

Vera perla di questa parte, tra le tante, è il quaderno di schizzi del dottore-artista Edward Cree, che seguì la distruzione di una flotta pirata nel mar della Cina a metà Ottocento e la rappresentò con maestria in acquerello.
L’AK-47 esposto nell’ultima sala ci ricorda poi che la pirateria non è un fenomeno storico, ma una questione ancora attuale che continua a minacciare il commercio in diverse parti del mondo e a mettere vite in pericolo. Usciti dall’edificio – magnifico e pieno di storia – del National Maritime Museum, alcuni interrogativi nati forse durante la visione di un film hanno trovato finalmente risposta.

La mostra Pirates, con un allestimento suggestivo ed efficacissimo nella sua semplicità, ci conduce per mano dentro un mondo che non conosce pietà, e ci aiuta a dare forma a un fenomeno che ancora oggi riesce a parlare a giovani e adulti di tutto il mondo.
Chissà che non ispiri qualche nuovo autore o autrice a scrivere il prossimo L’isola del tesoro, rilanciando ancora una volta la domanda: chi sono, oggi e un tempo, i veri criminali?

“Siete il peggior pirata di cui si ricordi.”
“Ma di me si ricordano almeno.”
Il commodoro Norrington al pirata Jack Sparrow in, La maledizione della prima luna