Forse c’è proprio bisogno di storie surreali, iper- retrocontemporanee, per uscire da una realtà che sembra superare, e di molto, la fantasia. Che gli scrittori e le scrittrici di fantascienza, poi, ci abbiano abituato ad anticipare i tempi, questo è banale. Eppure, ci sono storie che arrivano nel momento giusto, è il caso del romanzo Aliena di Phœbe Hadjimarkos Clarke (uscita per le prestigiose Éditions du Seuil in Francia, pubblicato dalle altrettanto pregevoli edizioni Blu Atlantide, trad.it. Maria Sole Iommi, euro 19,00).
Tutto accade all’indicativo presente, il tempo dell’immediato, immedesimato, il tempo un clock sbilenco e intraspecifico.
Quando infatti Fauvel, la ragazzina che arriva nella casa di famiglia per accudire Hannah, la cane del padre della sua migliore amica, apre un mondo iper-immaginario fatto di mistero, sangue, vecchie leggende e vite che si raccontano mentre, abbaio dopo scoperta, strane morti e altrettante strane sparizioni, sconvolgono la campagna francese, che trasfigura e apre uno scenario a tratti caotico, a tratti profetico, quando non perturbante (non a caso in copertina, merita menzione il particolare preso dal Trittico del Giardino delle delizie, o il Millennio di Hieronymus Bosch, a proposito di futuri possibili immaginati e emergenze climatiche attuali ndr).
Phœbe Hadjimarkos Clarke, traduttrice e autrice – Aliena in Francia ha vinto il premio Livre Inter ed è stato un caso letterario l’anno scorso – ha uno stile irruente, fluviale, che mischia il dialogato al pensato, il mondo dentro e il mondo fuori. Seguendo le ricerche di Fauvel, le antiche leggende riportano alla memoria la famosa Bestia del Gévaudan un enorme lupo antropofago (o più di uno), che fra il 1764 e il 1767 causò più di un centinaio di vittime nelle campagne meridionali francesi. Storia questa portata al cinema con il film, Il patto dei lupi, qui il trailer:
In Italia, invece, più o meno sempre nello stesso periodo, vi fu il caso della Bestia di Cusago, una lupa divenuta antropofaga, che uccise e divorò diverse vittime, ma sempre bambini e bambine… Storie (raccapriccianti) che si ingigantiscono a ogni passaggio, di paese in paese, mostrano la paura dell’altro, l’alieno del titolo appunto; poiché ci mettono in relazione con l’inconosciuto, la paura atavica del bosco, in fin dei conti del mondo là fuori.
Phœbe Hadjimarkos Clarke lo fa con Fauvel ma noi, mentre leggiamo, siamo Fauvel.
La vastità, ci racconta l’autrice, è un mondo che comprendiamo solo in parte, ma molte sono le “zone oscure”, qui rovi e rami ritorti, là sogni di sogni e bruma, una coltre sottile che ci accompagna sempre di più nel territorio inesplorato delle campagne francesi, che poi sono tutte le campagne, dove accade ciò che non comprendiamo (ancora di più, oggi, noi tutti urbanizzati, cittadini di un mondo globale sempre più vicino al terzo pannello illustrato da Bosch), il ferino si mischia con il quotidiano, c’è un recupero del selvatico, sembra dirci la storia di Fauvel, che prescinde da noi. Che ci rimette a posto, in quanto esseri umani. E ci fa capire che “Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”, altro che se aveva ragione Shakespeare. E poi ci sono Mado, Mitch, ma di chi sono gli inserti in corsivo che leggiamo nel testo? Forse, il meta-narratore, richiamando Poe, oppure forse la mente aliena che vede l’accadere, Fauvel che si addormenta, la bella addormentata nella mattina del mondo, e poi arrivano i massacri e il sangue, ma sempre con quel non-so-ché di leggero, di teen spirit, adolescenza come in Stranger Things.
Si legge facile, Aliena di Phœbe Hadjimarkos Clarke, e non per semplicità, che pure sarebbe un pregio, si legge vento, e territorio, si legge camminando, osservando i profili delle montagne così lo spicchio di luna, le creature silenziose attorno a noi, che ci camminano accanto, mentre noi pensiamo di essere i padroni del mondo. Il Creato, invece, è molto più grande, e forte, e ostile. Ci sopravvivrà, nonostante noi.