Montagne immaginarie


Le montagne immaginarie sono il nostro corpo che cambia. Il clima interiore che scorre come dorsali e faglie, chi abbiamo perduto, trovato. Le montagne massiccio e rocce, stratigrafia di un territorio che un tempo era piano e che poi, col tempo, si è corrugato proprio come le nostre rughe sul volto quando siamo crucciati, o semplicemente spersi. Le montagne hanno crepacci dentro i quali si cade, sovente, si precipita mentre si prova la traversata alta, inclini alla vetta, solo per cadere giù mentre le aquile nidificano, gli stambecchi si arrampicano, le miriadi di pesci saltano a valle dei fiumi alpini, scintillii poco prima del tramonto presto.
Montagne immaginarie è anche il titolo del libro di Michele Sasso, uscito per la collana “Inchieste” di Edizioni Ambiente Verdenero (euro 19,00 in collaborazione con Legambiente con la campagna, www.changeclimatechange.it).
“Il territorio montano si trasforma rapidamente. Cambia la vegetazione, cambia il clima, gli inverni sono diversi. E noi attrezziamo le montagne per farle sembrare sempre uguali. Cosa stiamo immaginando per il futuro?”, ci chiede l’autore, docente in Mohole, giornalista de La Stampa, prima tra le altre, anche a Radio popolare.

Sasso apre la lente dell’inchiesta sulla crisi climatica mettendo a fuoco uno dei responsabili, se non il principale, di quanto sta accadendo attorno a noi. Il mostro sta divorando le montagne immaginarie – ovvero il territorio su cui ognuno di noi vive – rendendo più fragili gli ecosistemi che, sempre più fragili, si infiammano (proprio come il nostro corpo si infiamma con l’aumento della temperatura, la febbre, allo stesso modo il surriscaldamento globale aumenta la temperatura della Terra, sintomo di una malattia profonda).
Usiamo le montagne per sciare anche quando non c’è neve, nemmeno fossero “parco giochi” per i nostri desideri bambini che ostinatamente vogliono (!) continuare a fare quello che hanno sempre fatto, a tutti i costi, facendo finta che tutto rimanga lo stesso – l’autore la chiama metromontagna -, le guardiamo per cercare pace, camminare, ammiriamo i boschi che nutrono centinaia di specie in quel tutto unico che rappresentano i precari equilibri naturali, la fauna e gli alberi, i fiumi e gli insetti, le muffe, i funghi – con o senza polenta – i ghiacciai che si ritirano a causa delle alte temperature oramai “flat”, base, laddove un tempo c’era lo zero termico ora bisogna salire in quota, col rischio di dimenticare che la causa dell’incuria, dell’abbandono di queste terre alte, siamo noi.

Come possiamo ricucire il nostro rapporto fra l’uomo e le montagne, lontani dall’incanto di cui scriveva Thomas Mann nel suo capolavoro, assistiamo muti al taglio delle foreste, l’erosione della roccia, siamo agenti scavatori, produciamo da noi stessi le pre-condizioni alle scosse telluriche che poi falciano chi resta ad abitare troppo vicino agli argini dei fiumi, a valle di una diga, appena al bordo di boschi secchi che d’estate s’incendiano facilmente.
Forse ci sarebbero piaciute un po’ più d’immagini e descrizioni – laddove Sasso si sofferma pare d’essere in viaggio – e un po’ meno numeri anche se è proprio con i numeri che si comprende il mondo e si idea politica, si “fa” azione sulle comunità residenti e i loro territori (che siano Trentino o Lombardia o Friuli). Montagne immaginarie di Michele Sasso è un libro-inchiesta che ha un doppio valore: da un lato, registra e restituisce (come nella migliore tradizione giornalistica, la cui sopravvivenza è resa sempre più complicata da un’informazione mordi-e-fuggi e dalla crisi dell’intero comparto editoriale); dall’altro descrive un fenomeno globale, macro, riportando tutto nel micro “a terra” attraverso esempi vicini, le montagne accanto, a poca distanza, alte, prossime, a noi.