Di lupe, uomini e cani


Si presentano come a teatro, personae più che solo personaggi, abbrivi di identità narrative: il corpo, gli individui, chi (cosa) siamo?
Parte da queste premesse Nella verde gola delle lupe (Moscabianca Edizioni, € 12,00) di Lucrezzia Pei e Ornella Soncini con le illustrazioni di Marco Calvi – un libriccino, 93 pp., sono corpi-lepre, tradizioni di donna|e che si tramandano, è il linguaggio che tesse i corpi, mentre si risvegliano quieti al mattino, odore del mattino, fra tassi, volpi, sui gradoni di pietra le femmine (le lupe del titolo?) si fanno grandi e mangiano, sorelle che pregano, prima ancora che la specie umana, l’icona del dio selvatico, Pan disperso chissà dove, “Fuggi l’orma che non conosci: la prima regola della cacciatrice”. Torniamo nel non-tempo delle fiabe senza accorgercene, dispersi tra boschi e fuochi fatui, rossi come i capelli di chi li abita, An(n)a tra le radici e gli alberi, le nuvole e i passi. V’è in questa fiaba delle due autrici il sapore antico della bruma mattutina, chiasmo di scritture – quella di Pei|Soncini – che è già una dichiarazione di co-abitazione, sintassi comune, popolata di selve e bestie, senza timore di incontrare i numi tutelari, ciascuno è il suo compito nel mondo, l’ordine delle cose, ove tutto è simultaneo e i nomi schiudono la magia. Lia, Nonna, Madre, sono i nomi dei cuccioli degli umani che saltano la danza della vita, dove piove su ‘i volti silvani’ le verità di un mondo che non esiste, e proprio per questo è alternativa al presente. Il fuoco delle molte vie dell’esistente.

Sempre da premesse legate al Romanticismo e alla moltiplicazione degli io-narranti è il volume La figura umana (edito dalle Edizioni Tlon, € 12,00) di Gianluca Didino con il sottotitolo, Friedrich, il contagio romantico e l’Apocalisse.
Qui la premessa è l’eco della notizia degli atti terroristici a opera della banda Baader-Meinhof, un’eco che si riverbera nel presente – intuirà l’uomo che porta la verità al protagonista S. – le parole si inscrivono così tanto nei giorni (ci dice Didino, questa la felice intuizione filosofica dell’autore) che, entro 24 ore da quando le abbiamo sentite la prima volta, le vedremo da qualche parte, tutto è frutto dell’illusione ma su cosa sia – frequenza o novità – questa illusione diventa conoscenza del mondo attorno, il nostro “io” si dispiega nel presente, incontra se stesso.
Pare di leggere Kafka tra le righe in questo racconto alternativo, in cui si dipanano i rivoli della narrazione, poiché le premesse cambiano la Storia (che sia questo il significato del nome “S.” del protagonista?), torniamo alla fine dei secoli che si alternano: “E il mondo, sotto quest’onda d’urto, collassa”, la frase si inscrive nel plot della vicenda così un escamotage metanarrativo diventa materiale di congiunzione tra chi legge e chi scrive, a sua volta, non scriviamo in egual misura tutti i nostri giorni? Non elaboriamo illusioni – di nuovo – solo per avverare la speranza di un mondo immaginato? Nel mondo di Didino anche la tecnologia diviene spazio di memoria (i GB di una vita, dati e numeri che ci giudicano agli occhi del mondo); l’autore poi nella II parte del racconto ci porta a schiera di fronte al Covid, la narrazione del presente passa dagli incubi dei nostri giorni – di nuovo, Trump, quello che concorrerà drammaticamente di nuovo per le elezioni presidenziali negli Usa o quello già eletto nel 2017, o ancora il meme di se stesso, il ciuffo biondo che riverbera nelle nostre vite, mentre pensiamo di essere indenni al destino, dimenticando che tutti siamo accomunati dallo stesso scenario. Pareidolia, enigma, chi è il Viandante dipinto da Friedrich, l’accelerazione si compie nella III parte dove “la figura umana” si esplicita infine nel suo doppio, l’avveramento dell’accettazione di un tempo giunto ormai alla sua fine|inizio.

Classe 1951, milanese, traduttore, editor, scrittore, Alberto Rollo è una delle ‘menti brillanti’ del panorama narrativo italiano. Ci fa immergere qui, nel suo Billy il cane (Ponte alle Grazie, € 16,90) tra i fiuti e il naso che porta il mondo di Billy perché, come pensa il tempo un cane?, ci chiede l’autore, come esordiscono i suoi pensieri, come si inscrivono nelle radici degli alberi, a contatto con l’essere bipede di cui il Cane apprezza la lingua “che viene da lontano”, anche il suo nome Billy lo eredita dal suono delle parole (le parole sono un’intera infanzia, edificano l’uomo, diceva Sartre nel suo memoir): “canuzzo”, perro, kalb, ed è qui nell’incontro delle narrazioni fra l’io-Billy e il suo conduttore umano (non “padrone”, che scomoderebbe un rapporto verticistico, ma più una co-presenza, uno stare insieme uomini e cani: a metà fra le grotte di Lascuax e Steinbeck, fra i primi cani ancestrali e il Tempo grande scultore di Yourcenar), il rapporto intraspecifico nella favola-libro di Rollo, è metafora a più esistenze, e il cane diventa vettore narrativo del quotidiano, che conosciamo e proprio per questo ci è più sconosciuto, in quanto dato per scontato, ecco che l’autore indugia sulla musica del linguaggio (e qui si “sente” l’amore di Rollo per la musica) fatto di corse e tiri, morsi, cibo, abbaio… presenza amica, selvatica, bestiale, la metafora del cane serve al lettore per comprendere la malinconia delle presenze estinte (dov’è finito Billy?), attraverso l’uso dell’imperfetto e del trapassato prossimo qui tutto è memoria pare dirci questa “novella a 4 zampe”. Tutto nell’uomo che racconta in prima persona la vita di Billy cospira alla comprensione, la massima utopia, per una vita in grado di esprimersi, riconoscendo la nostra stessa rabbia – non siamo buoni, non siamo perfetti – siamo anche feroci, ed è forse questa la chiave per stare al mondo, anche nell’ultimo istante, sottraendosi alla cosiddetta “civiltà” fatta di regole di morale, per abbandonarci infine all’unico odore del mondo: quello della libertà.