“La strada” di Manu Larcenet – da romanzo a graphic novel


È una cascata fredda quella che cade sopra i corpi dei due in copertina. Umido sul calpestio. Sembrano Don Chisciotte e Sancio Panza forse invertiti nei compiti, attratti dal mestiere di sopravvivere in un mondo senza speranza. E questo è il sottotesto delle narrative della catastrofe (annunciata): “Non c’è speranza” come grida Paul Muad’Dib Atreides di Dune 2 il principe sopravvissuto all’olocausto della sua stessa stirpe, davanti alla richiesta della madre che lo vorrebbe esule messia.

Solo che ne La strada il romanzo di Cormac McCarthy non c’è spazio per altro che non sia rumore e nessuna madre, anzi quella che c’era si è lasciata morire all’esterno, inghiottita da un clima che distrugge tutto, un mostro che spalanca la bocca e azzanna – persone, desideri, porte di casa, speranze -.
Ha la stessa grana decadente e scabra il graphic novel de La strada di Manu Larcenet pubblicato da Coconino Press – Fandango – con la traduzione di Emanuelle Caillat (156 tavole, 28): un “romanzo grafico” incombente, freddo, abrasivo e intimo.

E le immagini che fuoriescono dalle pagine di Larcenet sono viluppi di bende, pezze straccione, volti inariditi e stanchi, mani che si aggrappano a un tempo scomparso (quello del genere umano), è il tempo della voracità, ci dicono i disegni del fumettista francese. Se ci sono, le strade di polvere sono intrise di sangue rappreso, se pur nella trasposizione cinematografica la narrazione degli ultimi giorni degli uomini emergevano in tutta la loro spaventosa violenza, Larcenet sceglie per le sue inquadrature la specificità del dettaglio, merito di tavole squadrate, ritagli del tempo dell’estinzione percorso da questo padre ai limiti delle forze e degli occhi del suo bambino, gli occhi di un’innocenza che abbiamo già perso, più e più volte – abbiamo estinto specie, stiamo andando velocemente a infrangere quell’aumento di temperature oltre la soglia di +1,5°C che, lo sappiamo, è in grado di innescare una serie di incontrollati feedback negativi sui misteriosi, quanto delicati, equilibri della Terra.

Larcenet sta attaccato ai suoi personaggi, ne custodisce la fuga e lo sguardo, in un incalzante viatico jazz, le vignette si alternano con struttura fissa, variata per pochi dettagli, allo stesso modo i tre colori-base che l’artista francese sceglie sono l’ocra rosso – la terra -, il bianco delle ossa, l’azzurro-grigio dell’estinzione.
I protagonisti umani sono fasci di carne, a volte carbonizzata, altre semplice riserva di cibo, non si discosta dalla macabra realità immaginata del grande romanziere americano scomparso nel giugno del 2023.

Innesti d’uomo e ferro, tralicci bucati e bandiere che sventolano di fronte alla resa dei figli di un pianeta-morte, ci stiamo divertendo a distruggere e catalizzare processi irreversibili, sembrano dirci il padre e il figlio de La strada, i corpi degli altri sono appesi alle gru che un tempo costruivano gli edifici mentre oggi, ecco l’oggi è un tempo costante, ripetuto, galleggiante: così seguiamo da presso questi due umani-(già)non-più-umani.

Non è una storia di zombie, pure il mondo putrido si affanna alla ricerca di uno spazio di sopravvivenza, dove c’è pure magari, da qualche parte, un ritaglio spazio-temporale nel velo del reale, o una faglia forse, una piccola breccia da desiderare, per andare avanti anche se tutto sembrerebbe dirci di no: “Fermiamoci”, sembrano suggerire allora i disegni di Larcenet, fermiamoci prima di vedere il dolore e gli occhi spegnersi nei nostri vicini, in chi amiamo.

Anche qui sono le tempeste di sabbia che fanno impazzire e accecano, così come accaddero agli inizi del Novecento nelle terre di sud-est degli Stati Uniti, le dust bowls di cui scrisse John Steinbeck in Furore (il cui titolo originale era “Grapes of wrath”, che più o meno suonerebbe tradotto come, Acini di rabbia) riprese poi anche da Cristopher Nolan nel film Interstellar.

Stiamo distogliendo lo sguardo di fronte alle emaciate schiere d’eserciti in arrivo. Eserciti senza nome, ingombri sul pianeta, rifiuti tossici, smog e parti per milione, stiamo dando il via a un futuro denso di nebbie inquinate; armate senza padroni, vessilli stracciati, carta straccia e neve, scatolette di cibo freddo e non ancora avariato, la sopravvivenza, la sopravvivenza prima di tutto che diventa, prima di tutti, gli altri. Per l’ennesima volta, la nona arte, il fumetto, ci mette di fronte la nauseante possibilità che puzza, di fronte ai nostri occhi. La possibilità di un futuro in cui non ci sarà tecnologia né Intelligenza Artificiale ma, semplicemente, il ritorno a un primordiale che conosciamo bene, un ancestrale selvaggio, dove sì saranno i forti a trionfare e i deboli a soccombere.

Il sogno di un futuro migliore è stato estirpato, per strada c’è solo una via di fuga, costante. Non ci si può fermare, ci dicono i disegni garbuglio dell’artista francese, il tempo ci fascia come un sudario, le bende bloccano i corpi e il respiro. Non siamo più in grado di fermarci. Dopo la pandemia che ci ha bloccato per 3 anni, chiusi gli uni agli altri, nella fastidiosa falsità che domani sarebbe stato meglio. Ma non c’è domani, appunto.

La trasformazione delle parole di McCarthy in immagini tradiscono e trasformano, canalizzano la nostra attenzione, provano ad attirare la nostra empatia oltre la soglia dei 30 secondi. Non vi interessa ciò che accadrà?, paiono sottili trame sfilacciate, i baloon, i micro-testi con i quali Larcenet accompagna l’esodo dei due migranti padre e figlio. Ed eccola qui un’altra chiave di lettura del graphic novel de La strada pubblicato in edizione cartonata da Coconino press.
Migrazioni, clima, denutrizione, fame, calo demografico: i cavalieri dell’Apocalisse sbuffano a dorso dei loro roani. Non ci resta che guardare inorriditi al nostro futuro senza speranza. Sperando che esorcizzare la banalità del male ci salvi dall’unico nemico contro il quale non possiamo liberarci. Noi stessi.