Stuntman


È l’alba a Roma. Un uomo con il viso coperto dal cappuccio fa parkour sui monumenti, da Piazza San Lorenzo in Lucina a Via dell’Orso, svolta su ponte Umberto I, scende sul lungofiume poi risale le scalinate su piazza Lungotevere Castello.

Il sole comincia a filtrare dai palazzi. Continua a correre, elastico, passa davanti a un manifesto di Capitan America con lo scudo.

L’uomo scala muri, si dirige verso Lungotevere in Sassia, si inoltra per i vicoli di Borgo Santo Spirito, sbuca su piazza San Pietro. Si ferma. Respira. Guarda in alto, uccelli che volano, in cielo frullare d’ali.

L’uomo non c’è più. Al suo posto una “A” per terra (sembra quella anarchica ma è la A di Capitan America rivisitata, con le ali laterali che la fanno sembrare una stella).

Uno spazzino vede il simbolo, arriva un barbone con una bottiglia in mano, per un momento i due sono vicini – sembra la classica scena di vecchietti che guardano i lavori in corso – lo spazzino raccoglie i mozziconi, con ramazza e paletta vorrebbe spazzare via il simbolo, ma è fatto con la bomboletta, lo spazzino ci getta sopra acqua, il simbolo resta, nella pozza si specchia il cielo e, sotto, in trasparenza la “A”.

Titoli di testa

PARTE PRIMA

Mattina, zona Prati, Doria

Dentro un appartamento popolare, alla radio: “E secondo gli scienziati le alte temperature di giugno diventeranno normali se entro il 2050 le emissioni di CO2 nell’aria non diminuiranno”. Un ventilatore gira. Un ragazzo sfoglia una rivista, beve caffè, in cucina una donna sistema le tazze nell’acquaio. “E proprio oggi – continua la radio – è previsto lo sbarco a Roma di un politico sovranista (simil-Donald Trump, o Bolsonaro o Johnson) in visita ufficiale”. Il ragazzo scuote la testa, spegne, si muove sulla sedia a rotelle: «Ma’, esco». La donna annuisce: «Vuoi una mano?». La porta sbatte: «Stefano», chiama, ma il ragazzo è già uscito. Lei si affaccia, suo figlio è per strada, lo guarda attraversare. Torna al lavabo e si asciuga le mani screpolate sul grembiule.


Il ragazzo vuole salire su un marciapiede ma c’è un SUV parcheggiato, è costretto a passare lateralmente, con il traffico che lo insulta, non dice niente, mentre passa riga la portiera con le chiavi. Va avanti, dentro il cortile di un palazzo le palme sono secche, gli si avvicina il portiere: «Monocotiledoni a portamento arboreo», «Eh?», «Arecales», «Ma che cazzo stai a di’», «Queste piante hanno settanta milioni di anni», «Eh e io cinquanta», «Il ciclo di vita dell’intero pianeta lo si potrebbe vedere da un unico albero, è impresso nella loro memoria vegetale», continua: «Se lo ricorda quando andava a scuola? La crosta terrestre, lo scorrimento dei continenti, la tettonica delle placche». «A regazzi’ ma che tettonica, e zinne de mi’ moje dopo ch’ha sgravato je se so’ ritirate che manco le prugne». Stefano spinge a fatica la carrozzella: «Non si sente più nemmeno il profumo». Si avvicina a un fiore rosso raggrinzito: «È il cambiamento climatico, se non lo fermiamo» ma il custode lo interrompe: «Sì hai da vede er cambiamento», e spinge via gli escrementi.

Sopra la terrazza del condominio, una donna stende ad asciugare panni bianchi al sole, intorno palazzi, da una finestra aperta Edith Piaf canta Non, rien de rien.

Aeroporto di Fiumicino

Da un jet scende il politico sovranista, intorno a lui agenti speciali che lo proteggono e polizia italiana. Un ispettore davanti a tutti: «Hai capito che devo fa’ bella figura, il primo incarico importante. E poi se va bene, chi lo sa, eh, Gigge’», sistema la divisa a uno dei suoi.

Il presidente viene fatto salire in macchina. La scorta parte a sirene spiegate. Il corteo arriva in centro a Roma, è tutto bloccato, per strada striscioni e slogan di gruppi ambientalisti.

Il presidente entra nella hall di un lussuoso albergo.

Dentro giornalisti e politici, politico sovranista fa il suo ingresso al convegno: «È in ritardo» fa notare sdegnata una segretaria carina in abito rosso, «Aò ma ’o sai chi è quello?» le rispondono. Prima di salire sul palco, il presidente ha sudori freddi, si fa allungare una pillola, la ingoia con un bicchiere d’acqua, poi sul palco: «Ma quale caldo. Si sta benissimo» mentre tutti si sventolano e l’aria condizionata ronza ovunque.

Dopo lo speech, all’interno di una villa sull’Appia, al grande ricevimento sfarzoso ragazze in vestiti d’argento bevono champagne, uomini della Roma bene si intrattengono in chiacchiere sui panfili e la Costa Azzurra, alcuni pettinati come il politico sovranista che, nel frattempo, ride grassamente. Un diplomatico orientale gli va incontro: «Per gli accordi di Parigi», prova ma il politico sovranista lo scansa e si mette davanti alla segretaria in abito rosso: «I like this woman in red», il presidente allunga la mano verso il sedere della ragazza, che ride.


Sopra il Mercato dei Fiori, in una casa con un lungo corridoio una ragazzina bionda vestita come la Harley Quinn di Suicide Squad va in minigonna sui roller in casa ascoltando Beyoncé, fa i palloncini con il chewing gum, si chiude in bagno. In cucina una donna stira: «Flavia! Ma che stai a fa’». Dietro la porta la ragazzina si mette lo smalto: «Niente». La donna si asciuga la fronte, pulisce le mani sulla vestaglietta: «Scendo a fa’ le scale», la figlia non risponde: «Ho messo su i carciofi, je dai un occhio?», Flavia scrolla su Facebook, si fa un selfie, lo posta, dopo dieci secondi ha già 50 Like, sorride. È sul wc che fa pipì, dagli slip abbassati il soffitto appare umido e scrostato. La porta di casa si chiude. La ragazzina tira su le mutandine, esce dal bagno sui roller, entra in camera sua, fumetti sparsi ovunque, appeso il poster di Capitan America: «A bello come stai?», lo bacia in bocca poi continua a pattinare.

Un uomo dentro un open space sfiora gli angoli dei mobili, in silenzio. Si mette davanti al Mac, apre un file. Sta davanti la pagina bianca, guarda la foto in cornice di una ragazza. Sale le scale e va al piano di sopra, passa la mano sopra le lenzuola nere di un letto, tocca abiti femminili appesi a stand mobili. Scende di nuovo, vicino a un camino spento prende un testo da una libreria, in poltrona scuote la testa: «Perché sei stupido», strizza gli occhi come per il mal di testa. Torna alla scrivania, apre un altro file, scrive qualcosa ma poi la cancella, sbatte il monitor. Porta le mani al volto.

Dopo poco, al telefono: «Se n’è andata», l’altra voce: «Col dj napoletano?», «Evidentemente era migliore di me». «Non dire così, tornerai a scrivere meglio di prima», «Il romanzo è pronto da due anni e non ho trovato un editore che lo pubblichi, troppo difficile, troppo coraggioso. La verità è che non gliene frega niente a nessuno dell’ambiente. La Terra è in pericolo, tra cinquant’anni se continuiamo così le temperature arriveranno a 250°! Ti rendi conto?». Silenzio. «Pronto?» «Sì scusa, senti, ce la farai, ma adesso devo accompagnare le bambine in piscina. Ti voglio bene».

Il romanziere si fa una doccia, è sera, si affaccia alla finestra, Roma è silenziosa. Mangia controvoglia un piatto di pasta, prende le chiavi di casa, prima di uscire guarda la vecchia serie di Star Trek in Vhs: «Tanto così chi vi guarda più» e lascia le luci accese. Entra in un market aperto tutta notte, compra un pacchetto di sigarette, alla tv un improbabile serial indiano: «Le serie sono la nuova letteratura» commenta laconico, il commerciante annuisce: «Lei ne guarda molte?» il negoziante risponde in bengali.

L’uomo che faceva parkour è dentro un appartamento in penombra, vestito di nero. Fa caldo ma non suda, sistema una custodia lunga da strumento musicale sotto il finestrone, apre un pacchetto di sigarette, si siede su un divano chaise longue, tira fuori una sigaretta, la accende, prende il fumetto Civil War della Marvel, inizia a leggere.

Fuori la finestra, da sopra le nuvole San Pietro è illuminato, i giardini risplendono. La città sogna.


PARTE SECONDA

Flavia e sua madre a cena, a capotavola un uomo corpulento in canottiera. Flavia ha i capelli sciolti, fissa lo smartphone: «Mo te lo butto ’sto coso» dice il padre ma lei non ascolta. «Aò t’ho detto de smette», Flavia sorride allo schermo. L’uomo dà un ceffone alla figlia, l’impronta rossa si stampa sulla guancia di Flavia che prima lo guarda stupita, poi sorride, riprende in mano lo smartphone caduto senza dire niente. Lascia il cibo nel piatto: «Dove vai?» le chiede la madre: «Ti serviva il sapone per la lavatrice?» la donna annuisce appena, il marito continua a mangiare sorbendo rumorosamente una minestra, fisso allo schermo. Donna e figlia si guardano, il padre cambia canale. La donna ricomincia a mangiare in silenzio.

Seduta nel corridoio Flavia infila i roller, le cuffie, si chiude dietro la porta di casa. Nel taglio di luce intravede i genitori.

Fuori, strade silenziose. Flavia schettina, ha indossato un paio di pantaloncini jeans cortissimi e una t-shirt a stelle e strisce, si è fatta i codini, con l’eye-liner si disegna un cuore nero sotto l’occhio destro, una lacrima le riga appena il volto ma, forse, è solo l’aria della sera.

Tavolini di una pizzeria, poche persone fuori. Dentro, i ventilatori continuano a muoversi: «Ma quanno finisce ’sto caldo?», un uomo scaccia le zanzare, una signora alla cassa si asciuga il sudore da sotto le ascelle con un tovagliolo di carta.

Il ragazzo in sedia a rotelle è solo a un tavolo, manda via una mosca dal piatto, non finisce la pizza, lascia la crosta annerita. In silenzio si avvicina alla cassa, paga, esce.

Il politico ha una faccia evidentemente beata, è seduto in macchina: due nere gli stanno facendo un pompino. Davanti, l’autista di spalle con il cappello nero.

È una limousine parcheggiata sotto gli alberi. Sono al Gianicolo. Sotto la collina, macchine della polizia, che ha transennato l’area.

Il presidente si rimette a posto il ciuffo. L’autista paga le donne mentre lui beve un caffè nell’abitacolo: «Very good» continua: «Dobbiamo fare passare quella legge per i blow-job bar», dice all’autista.

Le ragazze salutano. Il piazzale rimane vuoto, Roma dall’alto illuminata.

La vettura scende per Trastevere. Dietro, la scorta. Intorno, i palazzi del lungotevere.


Lungo la strada, la macchina incrocia un gruppetto di ragazzi con la bandiera – una tartaruga stilizzata (Casapound) – stanno dando calci alla mercanzia di un ambulante. Il presidente abbassa il finestrino, li guarda. Con le facce cattive, i Casapound rimangono impassibili al sorriso biondo. Uno di loro con la mazza da baseball fa per avvicinarsi. Scatta il verde, la limousine parte. Il politico sovranista si asciuga con il fazzoletto: «Hai ancora una di quelle pillole?» l’autista gliela allunga, lui la prende, si distende sul divanetto.

La macchina arriva a San Pietro, il politico sovranista scende baldanzoso. Ai lati preti e polizia, le guardie svizzere pettinatissime. Viene accompagnato dentro le residenze papali. Scaloni, tappeti e porpora, in fondo a un corridoio tappezzato di quadri e arazzi: «Sua Santità sta riposando» dice un vescovo in evidente imbarazzo: «Ma se vuole la accompagno io», il politico sovranista fa spallucce, sale altre scale, ha il fiatone.

«Da questa parte». Il presidente entra nella Cappella Sistina aperta solo per lui di notte. Alza lo sguardo, ha un mancamento, lo fanno mettere seduto: «Sindrome di Stendhal», azzarda uno dei tirapiedi, il messo vaticano però guarda intensamente il politico sovranista: «No. È il caldo su tutto il pianeta» e gli allunga l’enciclica del Papa, Laudato Si’.

Stefano incrocia i Casapound di ritorno dalla ronda: «Che c’hai da dì qualcosa?», Stefano non risponde, «Ma lascialo perde poraccio, hai visto che quando cammina je se bucano le rote», Stefano va avanti: «A secco, laggiù ce n’è ’n artro, annamo!» e corrono in fondo dove si vede un ambulante straniero. Stefano li segue con lo sguardo. I due accerchiano l’uomo, arriva una volante della polizia che li disperde.

Stefano prosegue, incontra una Harley Quinn in roller con un sacchetto della spesa, si guardano per un istante. A Flavia cade la spesa, Stefano torna indietro: «Aspetta che ti aiuto», «Sì e come fai?». Stefano sorride, carica le buste sotto la carrozzella dove ha un vano: «Però, è comodo ’sto coso» ammette lei.

Camminano, entrambi a rotelle: «Hai visto che bella» Flavia intende la luna. «Prima c’erano le lucciole, non le vedo più da non so quanto tempo». «Sì, e mo ce stanno i lampioni no?». Passano sotto le finestre illuminate di San Pietro. Frinire di grilli, gli alberi sono fermi, non c’è vento: «Gelato?», propone Flavia: «Ovvio me lo compri tu», Stefano annuisce. Lo prendono davanti alle mura vaticane. Lei lecca un cono, Stefano ha preso una coppetta. Più avanti: «Ma perché tutta ’sta polizia?». Davanti la cancellata di San Pietro, l’ispettore gesticola alle volanti, intorno paparazzi e ragazze della movida romana. «C’è il presidente degli Stati Uniti in visita». «Bello! Ma dai… e che è venuto a fa’?». «A vedere le rovine dell’Impero».

Lo scrittore cammina, ha in mano un plico. Incrocia un ragazzo in sedia a rotelle e una ragazza sui pattini, mascherata. I due non si accorgono di lui. Li supera, si gira, li guarda allontanarsi uno accanto all’altra.

Arrivato al colonnato, entra in piazza San Pietro, è solo, raschia la suola della scarpa sull’acciottolato, si ferma al gocciolio della fontana e accende una sigaretta. Arriva la polizia che manda via tutti: «Deve sgomberare». In quel momento l’uomo alza lo sguardo e dentro la finestra di uno dei palazzi in fondo gli pare di vedere un’ombra, che subito si toglie dalla luce: «Ha visto?» tossisce, getta via la sigaretta, il poliziotto non gli risponde. L’uomo dirige lo sguardo verso le luci sul fiume.

Mentre Stefano e Flavia camminano, da un vicolo escono due Casapound (quello che prima aveva chiesto a Stefano se aveva da ridire): «Guarda chi c’è qua», «E anvedi mo pure co’ a signorina». Stefano arpiona i braccioli: «Stiamo solo camminando, vi pregherei di continuare a farlo anche voi». «Tu preghi, ma pensa un po’, è solo perché stai sotto al Cupolone, è vero macchine’?» il Casapound appoggia un piede sulla ruota della carrozzella, comincia a farla dondolare mentre l’altro gira intorno a Flavia, che sorride. «Senti a me invece, adesso sai che famo, io e l’amico mio, prima te sgonfiamo le rote e poi ce famo un giro co’ l’amichetta tua, eh che ne dici?» pinza le guance di Stefano tra le dita. Si sente uno schiocco e un tonfo. L’aggressore si gira, sgrana gli occhi: «Ma li mortaa-cci», il suo compare è a terra, Flavia ha in mano un bastone, fa i palloncini, soffia via una ciocca dalla fronte. Rotea la mazza improvvisata: «Simpatico l’amico tuo qui», una pozza di sangue a terra, lontano passa un’altra volante della polizia, il Casapound raccoglie da terra il compare, scappano.

A Stefano per un istante sembra di vedere sulla schiena dei balordi il laser rosso di un puntatore.

Nell’appartamento notato anche dallo scrittore, l’infrarosso si spegne. L’uomo in nero rientra dalla finestra, ripone qualcosa di metallico, sullo schermo di un portatile aperto su YouTube, in un video sottotitolato, Johnny Depp su un palco domanda al pubblico: «Ricordate l’ultima volta che un attore ha ucciso un Presidente?».

L’uomo in nero va verso un sacco appeso a un gancio. Alla luce gialla dei lampioni, la silhouette dell’uomo inizia a scaricare pugni, a terra s’intravede un guanto rosso.

PARTE TERZA

Lo scrittore guarda le chiatte sull’acqua, respira l’improvvisa brezza del fiume. Alza lo sguardo, in cielo gabbiani fermi al centro di correnti d’aria invisibili gridano alla notte.

Un vecchio barbone – lo stesso della scena iniziale – lo osserva dall’altro lato della strada.

Arriva un sms, sul display: Ti auguro una vita migliore senza di me. Io sto bene. Non mi cercare più. Baci, Matilde.

L’uomo rialza la testa. Anche il barbone è scomparso.

Appoggia sul muretto di marmo il suo ultimo romanzo non pubblicato e il pacchetto di sigarette. Si toglie le scarpe e la cintura. Si issa sul muretto, si butta.

Stefano arriva al palazzo di Flavia, vede mazzi abbandonati nei cassonetti del Mercato, la ragazza lo anticipa: «Quanto so’ belli, è un peccato che stanno lì a morì». Stefano le dice il nome dei fiori: «Ero un biologo una volta, ma con l’Università non ci mangi allora ho smesso e ho lavorato, fino all’incidente», «E che hai fatto?» Stefano non risponde: «Senti ma invece lì sotto, te funziona?» indica la patta dei pantaloni, ha sedici anni ma ne dimostra molti di più. Flavia abita con la madre, chiede a Stefano se vuole salire: «E come faccio?», «Co’ l’ascensore».

I due entrano nell’androne. Arrivati al terzo piano incontrano il ragazzino del secondo, con i suoi amici travestiti da mostri, ha tredici anni: «Famo a mostri e super?», Flavia per un istante sembra avere la loro età. Il mostro nel frattempo si toglie la maschera: «Oggi t’ho raccolto questi», allunga un mazzo di fiori rossi: «Sì, per tera, alla chiusura» gli altri lo prendono in giro, il tredicenne vede Stefano: «E quello chi è?» (da sotto, la sorella lo chiama; marmocchi su scale sporche; un anziano apre per spiare Flavia ma si accorge di Stefano e richiude subito).


Flavia apre la porta di casa sua, piano: «Entra dai» la madre si è appisolata sul divano, in tv un programma a premi: «Vieni», il ragazzo in carrozzella la segue, appesi in cameretta poster: «Ti piacciono i supereroi?», «Perché a te invece che te piace?» Stefano le parla de Il cimitero marino di Paul Valéry e gli anime di Miyazaki, Si alza il vento, della poesia della natura. Flavia chiede della sedia a rotelle: «Mo me lo dici come hai fatto?», ma Stefano non risponde: «Vabbé ho capito va’», Flavia poggia i fiori e si spoglia: «Allora, ce lo fai l’amore co’ mme?»

L’uomo in nero nella stanza sistema in fila tre proiettili. Accanto, l’immagine di Zapruder e il guanto rosso, estremità di una tuta azzurra a stelle e strisce, della quale si intravede il cappuccio con le ali del costume del Cap.

L’uomo si alza, va in cucina, in mano un pacchetto vuoto di sigarette, lo getta nella pattumiera. Si versa latte freddo in un bicchiere lungo. Torna di là, tira fuori dalla custodia un mirino, inizia a montare un fucile telescopico.

Il politico sovranista esce da San Pietro, il sindaco della città – un uomo di mezza età – si mette vicino a lui per fare una foto insieme a due procaci ragazze bionde, ma non sa da che parte stare. Il politico sovranista ha un altro mancamento: «Mi serve aria» il sindaco propone di attraversare il ponte e andare a vedere il fiume: «Che è sempre bello».

Il piccolo corteo si muove, con l’ispettore in prima fila e i gorilla. Mentre cammina, il politico sovranista deve fare pipì, ma per l’arrivo del Presidente degli Stati Uniti d’America l’amministrazione capitolina ha vietato la vendita di alcolici, così i bar hanno chiuso. Il politico sovranista inveisce. Imbarazzato, l’ispettore dice all’autista del presidente che la può fare dietro un albero, si metteranno tutti ai lati per proteggerlo dalla vista di eventuali curiosi: «Tanto ’n c’è nessuno» dice Giggetto fuori luogo, «Non è vero» replica stizzito il sindaco: «Ho autorizzato una parade per stanotte», «Una che?», «Dall’altro lato del ponte. Come le grandi città internazionali, dobbiamo dare ai cittadini l’occasione di essere più che semplici consumatori», «E che devono fa’?», «Essere pro-ta-go-ni-sti!». «All’una de notte? A 40°?».

Nel frattempo il politico sovranista è andato dietro l’albero, tira giù la zip. Scorge un plico e un pacchetto di sigarette sul muretto, prende il manoscritto, finisce di fare pipì, chiude la patta, in quel momento vede un cadavere in acqua, chiama il suo autista.

L’ispettore di polizia si gira allarmato dalla voce.

Musica dance dall’altro lato del ponte, arriva una sorta di carnevale brasiliano.

Il politico sovranista e gli uomini della scorta sembra si girino tutti in synch.

L’uomo nell’ombra prende il fucile di precisione, inspira, indossa un visore. Espira piano. Poi schiaccia il play di un device, in cuffia parte Paradise City dei Guns N’Roses (parte del testo con Captain America).

Per strada, gente vestita da Mercuzio di Romeo+Giulietta, Zorro, donne in abiti succinti.

Un colpo parte dalla finestra buia, il proiettile trapassa la testa del politico sovranista.

Grida in strada, l’incapace sindaco della città urla, la polizia usa i manganelli, l’ispettore è smarrito: «Ma che cazzo, era il primo incarico».

Mentre fuori si scatena l’inferno, l’uomo nell’appartamento lentamente si sveste, indossa il costume da Capitan America.

Fumogeni, scene da guerriglia urbana, ambulanze, un ragazzo si china su una ragazza, dietro i poliziotti schierati.

Un uomo travestito da Capitan America passa davanti al muretto, raccoglie il pacchetto dimenticato, lo mette nella cartucciera del costume. Tira indietro il cappuccio, il vento gli scompiglia i capelli, in silenzio si incammina.


Corpo del politico sovranista a terra che artiglia un plico bianco.

Un reporter si avvicina e fotografa il politico con in mano un manoscritto, dal titolo 2089. Salvare il Pianeta Terra. Il cronista allunga una banconota al suo amico poliziotto, sottrae il plico mentre nessuno lo vede. Si dirige verso una macchina, non riesce ad aprire, infine dentro l’abitacolo recupera una lattina, beve, inizia a leggere, sgrana gli occhi.

Chiama al telefono: «Sì ma nun ppoi capi’, quello se leggeva ’e cose pe’ salvà er pianeta, aò te dico de sì. Sì, ce l’ho io, famo er botto!»

Rotative. Il giornale riporta in prima pagina la foto del politico sovranista e più piccola, in un riquadro accanto, la foto dello scrittore sorridente.

Alba del giorno dopo. Nella stanza della ragazza, lenzuola sfatte, pulviscolo. Stefano guarda Flavia che, in slip e canotta, accende la televisione. Al Tg la breaking news con immagini di repertorio del politico sovranista: «Anvedi l’amico tuo», Stefano non immagina: «Questa gente ci porterà alla rovina». Flavia abbassa il volume, immagine da dietro: «Adesso te lo faccio vede’ io che se po’ fa’. Prima che torni mi’ padre» Stefano sgrana gli occhi, si vede il sedere di Flavia mentre si sfila l’intimo e la maglietta: «Ma sì nun te preoccupa’ tanto prima o poi dovemo morì tutti».

La speaker in tv, con il volume al minimo, racconta la notizia: “Il presidente ucciso, tra le sue mani è stato rinvenuto il romanzo inedito di uno scrittore che si è tolto la vita la stessa sera – c’è un nesso? – un libro di fantascienza sulla fine del mondo a causa del caldo”. La speaker continua: “L’editore lo pubblicherà in migliaia di copie, allegato al quotidiano, nei prossimi giorni”.

I corpi di Flavia e Stefano tra le lenzuola. Sopra il letto, il poster di Capitan America (per la prima volta a figura intera) sembra proteggerli dalle bugie del tempo. Il mazzo di fiori rossi regalato a Flavia dal piccolo supereroe giace di traverso sul comodino. Uno dei petali cade a terra. Nell’immagine del poster, il guanto rosso del Cap stringe lo scudo.

Un guanto rosso gira la manopola del gas di una moto da cross, accelera, il rombo del motore sale nel cielo terso, nuvole bianche in cielo si muovono leggere. Il biker punta e salta il terrapieno di una pista in mezzo a terra e alberi. Si lancia dalla moto in volo. Cade. Rimane steso, sembra morto ma si rialza. «Bona la prima», un regista sulla sedia chiude il ciak. «A Maciste!» lo chiamano. Lo stuntman si toglie il casco. Dal taschino della giacca di pelle tira fuori il pacchetto dello scrittore. Si accende una sigaretta. È l’uomo che ha ucciso il presidente. «Mortacci tua o’, ma nun mori mai?».

FINE