Elefanti, fenicotteri e altre vite sulla Terra


Che vi sia sempre più necessità di parlare di Nature, al plurale, come forma di riflessione sul contemporaneo, ce ne rendiamo conto all’alba del day after delle elezioni europee, dalle quali emerge un dato preoccupante: una retrocessione delle questioni ambientali dall’agenda politica dei partiti, espressione di una volontà popolare più attenta al proprio piccolo orticello che alle grandi questioni, complicate, di co-abitazione che invece saranno la norma domani. Intanto però ci dobbiamo arrivare, a quel domani.
Per questo sono preziose pubblicazioni, punti di vista, come quelli dei libri Ho visto volare i fenicotteri di Gabriele Bertacchini e Il destino degli elefanti di Giannu Bauce, entrambi pubblicati da infinito edizioni (redazione che lavora allo sviluppo dei libri con energia pulita prodotta da impianti fotovoltaici). Una riflessione sul ‘ritorno della vita sulla Terra’ e l’altro sul pericolo di estinzione degli elefanti africani, per anni soggetti a bracconaggio. Due approfondimenti a metà fra saggio naturalistico, geo-politico, e le connessioni nella rete di vite che compongono quel sistema complesso che chiamiamo, pianeta Terra.
Bertacchini, divulgatore ambientale, già autore de L’orso non è invitato e de Il pesce è finito (editi sempre da infinito) e conduttore di Radio Pianeta 3 e del podcast M49 – proprio come il nome dell’orso Papillon, evaso a più riprese qui -, è il fondatore di AmBios, azienda specializzata in educazione e comunicazione ambientale.
Nel suo agile racconto di viaggi, l’autore scrive “Per un mondo che scompare sotto i nostri colpi, un altro rivendica la propria esistenza” ed è così che ci si addentra nei molti tempi della Natura, Bertacchini scende all’interno delle multiple esistenze dell’unico organismo vivente: “Quando uno spazio viene lasciato ‘libero’, i diversi viventi iniziano a ‘competere’ per occuparlo, e ci riescono”: la vita – nel suo doppio significato di bios e zoè – si riappropria dello spazio, lo abbiamo visto durante la pandemia: delfini nei canali di Venezia improvvisamente limpidi, aria respirabile profumata di camino a Milano, orsi nelle piazze russe prima dell’invasione ordinata da Putin.

Ci sono “le armonie della Natura” nel libro di Bertacchini, così il dichiarato senso delle reti (network) che si intersecano e rendono la vita sul pianeta un unico intrico intelligente, come insegnano il pensiero di Fritjof Capra e la lezione del biologo cileno Humberto Maturana: “Esistere significa essere in relazione”. La complessità si può pensare solo mettendo in sintassi luoghi e concetti apparentemente lontani, nell’unico orizzonte della vita “Tutte le cose sono uno, da tutte le cose l’uno e dall’uno tutte le cose“, come scriveva già Eraclito l’oscuro o il tenebroso, filosofo greco vissuto tra il VI-V sec. a. C.
L’essere umano sa l’interconnessione e l’interdipendenza, la conosce da secoli, eppure siamo ancora qui, ecco dunque perché i fenicotteri ‘dalle ali di fuoco’ che Bertacchini vede volare sono segno e metafora di un tempo più lungo – sterne artiche compiono i loro lunghissimi tragitti, voli imprevedibili tra le pieghe delle aurore boreali – siamo costruttori di ambienti, anche se finora negli ultimi 100-150 anni abbiamo più distrutto che tutelato, più invaso che protetto: “Sono solo convinto che il ritorno della vita sulla Terra passi anche attraverso i nostri pensieri. Inizia da uno stato mentale, dal sentirsi parte fino a confondersi… Inizia dal luogo in cui ci si trova e dal desiderio di lasciarlo il più possibile così com’è”, forse la sfida più grande dei nostri tempi di luce declinante: diminuire la nostra singola individuale carbon footprint l’impronta ecologica del sé, passare da una narrazione antropocentrica: dall’ego-fiction approdare al comune senso dell’appartenere, singole storie di un’eco-fiction più grande.


“L’elefantessa compare all’improvviso dal bosco, seguita da un cucciolo dinoccolante che non ha raggiunto un anno di età”. I giganti della savana africana si muovono negli aperti spazi del continente nero, depredato e ricco di risorse e terre rare: “Fino a poco più di 10.000 anni fa, sul pianeta esistevano probabilmente circa 160 specie di elefanti; oggi ne sopravvivono soltanto tre: l’elefante indiano, l’elefante di foresta e l’elefante di savana… Agli inizi del ‘900, la popolazione di elefanti in Africa contava dieci milioni di esemplari… solo mezzo secolo più tardi, era diminuita dell’87%”.
Abbiamo estinto non per cacciare e necessità di reperire cibo ma per lucrare, quelle degli animali ridotte a vite-oggetto, homo sapiens e i suoi trofei, avido di dio-denaro: i reati ambientali sono al terzo posto nella speciale classifica che vede l’arricchimento delle mafie di tutto il mondo, dopo armi e droga.
Ancora si pensa che le zanne dell’elefante siano curative, quelle di tigre afrodisiache: è così che abbiamo sterminato i rinoceronti o, nelle Americhe, d’inizio secolo scorso, oltre alle tribù dei nativi, i grandi bisonti delle praterie, milioni di esemplari ridotti a carcasse purolente, sbadatamente uccisi solo per prelevarne le folte pellicce e le corna.

Gianni Bauce – membro della Zimbabwe Professional  Guides Association, conduce safari fotografici con la sua organizzazione African Path Safaris, promuovendo il turismo sostenibile nell’area – per la sua analisi si avvale di numeri e cartine geografiche, identifica, commenta, specifica e non parla soltanto dell’uccisione e del bracconaggio, di più l’autore ci conduce a riflessioni-emblema: Congo, Zimbabwe e Botswana, pressioni ambientali, la sopravvivenza delle specie animali correlata a quella delle popolazioni indigene, le piogge e la progressiva desertificazione dei territori incrocia le rotte delle Matriarche, mentre la Cina investe in Africa per produrre riso e apparati para-militari come la Wagner sovvenzionano rivolte e colpi di Stato pur di appropriarsi dei prossimi sviluppi del continente africano, in rotta di ricongiunzione con la placca continentale europea.
“Un elefante è un animale enorme, che può superare facilmente le tre tonnellate di peso”, quale sia dunque il nostro peso sulla Terra invece, questo appare come quesito inespresso e pure trasparentemente in controluce dopo la lettura de Il destino degli elefanti, quale dunque il nostro, nel prossimo futuro, se continueremo a estinguere e depredare, inquinare e appropriarci delle altre vite sul pianeta, quale il destino dell’umanità su un bioma che comprende tutto, elefanti, praterie, scorci d’orizzonte e terra. Tutto è interconnesso. In fragile equilibrio ai tempi del cambiamento climatico.

  • Luciana |

    Grazie per averci raccontato di questi due libri! Leggerò e regalerò

  • Luciana |

    Grazie per questa bella recensione. Grazie per la sensibilità.

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