blogdiary reportage Faroe 4


La nebbia è compatta anche alle 4:50 stamattina. Mi sveglio e fuori il cielo è lieve, piombo, leggero, pesante. Le Faroe stringono e lasciano, è un doppio movimento a cavallo tra due mondi. Ciò che si vede e ciò che, ancora, no. Metafora di un tempo che stiamo lasciando e uno entro il quale viaggiamo.

Lungo la strada per Gásadalur incontro pecore, realizzo pecore come funghi, grigie, i piccoli corrono appresso alle mamme, leccano l’asfalto, forse, penso, c’è sale e non lo so. C’è brina e non lo so. C’è cosa, nel mondo, che non sappiamo.

Quanto invisibile ci passa sotto gli occhi, attraversa, fotoni, suoni che adesso spingono dentro gli orecchi, Pearl Jam, sempre loro a distanza di anni. Grunge e selvatico, sono tutto qui, ci ho messo quasi cinquant’anni ma adesso lo so.

Sulle strade si deve andare piano, rocce, gallerie, curve a gomito, spuntano pecore da sotto i cartelli stradali, mentre i ruscelli scorrono e i prati bagnati dalla notte si ridestano. Il sole spunta tra i monti naviganti.
Guido e mi sembra di essere immortale. Corro e mi prendo il tempo di soffermarmi sui movimenti lenti delle braccia, le stesse che portano i pensieri nel mondo e li illustrano al posto nostro.

Dove ho fallito, mi chiedo. Ogni volta che non sono stato all’altezza, ogni volta che ho mentito per guadagnare un tempo che non abbiamo, le volte che ho fatto scegliere altri al posto mio per debolezza o semplice disattenzione.
Ci penso mentre arrivo al parcheggio della cascata a strapiombo sul mare-oceano, faraglioni e pianori, stradine si inerpicano, sterne in volo radente sulle onde.

La schiuma dei giorni, la chiamava Boris Vian, Boris che scriveva, suonava, povero in canna, jazzy, ma forse che si è mai ricchi, si sarà mai più ricchi di così, di quando un giorno incontreremo chi abbiamo cercato per tutta la vita e nemmeno lo sapevamo, ai quattro angoli del mondo. Forse stavolta mi fermerò un po’, forse stavolta, non per stanchezza ma per scelta. Forse riprenderò invece in un altro modo.

Pensavo, ho fatto circa 20 reportage in quasi 3 anni, i primi due in tempo di pandemia. In questi primi 5 mesi dell’anno sono andato nella foresta amazzonica e indagato sulla relazione tra disboscamento e narcotraffico, qualche settimana fa in Ucraina. La direzione delle zone di conflitto, per raccontare la Natura che stiamo continuando a distruggere. E però nella sua bellezza. Ne sono convinto.

Me ne rendo conto mentre un toro della Faroe mi incrocia per strada, rumina, indifferente al mio tempo, le mie necessità, se mi fa male la pancia o è solo claustrofobia, se sono in ritardo o sto bene tra le stelle che improvvisamente vedo anche a terra, rilucono dappertutto, bisogna solo alzare lo sguardo.