“Non siamo qui per intrattenervi”, Mark Fisher è ancora con noi, e forse rimarrà sempre


Che Mark Fisher sia Mark Fisher lo sapevamo. Eppure ogni volta è una scoperta. Una perla che si deposita, anche solo per un breve istante, un sacchetto di plastica mosso da un vortice di vento, filo-terra.
Nato nel 1968, morto suicida nel 2017, a nemmeno 40 anni. Scrittore, critico culturale, filosofo, accelerazionista, visionario, precursore di quello che sarebbe diventato lo spettro di un iper-mondo, e lui che già lo aveva visto.
Per questo il suo Non siamo qui per intrattenervi, uscito da poco per le edizioni minimum fax (trad.it. Vincenzo Penna, 20 euro) con l’eloquente sottotitolo (scritti sulla letteratura, interviste e riflessioni – K-Punk /4) colpisce ancora una volta nel segno, consegnandoci le note di pagina di uno degli intellettuali più poliedrici e sagaci della contemporaneità, uno spirito del tempo in anticipo, uno zeitgeist ante-tecnologico, come il nome del suo blog K-punk, anti-tecnologico.

Fisher un controsenso, una contromisura dell’individuo al sistema, un hyper-linguaggio contro l’ipersaturazione (dagli smartphone, dalle serie, dai social): “La cosa strana è che ho conosciuto la testa di Mark ben prima di incontrarlo di persona. In un certo senso, lo conoscevo prima ancora di sapere di lui”, così nelle parole di Simon Reynolds, critico musicale britannico, storica firma fra gli altri di NME e The Guardian, amico di Fisher, risiede svelato tutto il portato intellettuale, costitutivo in chiave originaria, del Fisher-specchio dello spazio, un folletto del Tempo più grande, un ‘profeta’ quasi, come lo definisce Reynolds (intervistato qualche anno fa, qui ndr) nella prefazione a Non siamo qui.
Atwood, Perniola, Spinoza, Ballard, i socialist workers: se la prima ‘traccia’ della raccolta degli interventi k-punk fisheriani scomoda i meme della scrittura, le cose si fanno subito più politiche (Perché voglio fottere Ronald Reagan) e subito i pensieri vanno alle prossime elezioni americane e al perché oggi, proprio qui, nel 24esimo anno dei Duemila, non vi sia nessuno, davvero – N3SS1 – a cui sia venuto in mente di scrivere la parola “fottere” accanto a The Donald Trump, emblema di una credulona (quando non pericolosamente eversiva) ottusa retro-generazione di elettori che potrebbero – nel novembre di quest’anno – riportare nella stanza dei bottoni della Casa Bianca il bambinone con ciuffo biondo, e le maniere rudi dell’imbonitore da circo.

Se Fisher era un pensatore libero, il battitore accelerazionista nei suoi scritti pubblicati meritoriamente da mf ribadisce l’atto assoluto della creatività, così il flagello nietzschiano si dà correlato a una serie di spunti cinematografici (David Cronenberg), consigli di lettura (il David Peace di GB84) è così che Fisher sdogana i concetti forti di proletariato inglese, anticipando la fuoriuscita degli UK dallo stato-diffuso europeo, mischiando psicosi e tecniche oniriche, anti-tatcherismo e déja-vu, Fisher nei suoi scritti passa in rassegna il neo-liberismo, “l’assurdo infantilismo della semiotica tardocapitalista”, e noi dovremmo volergli ancora più bene, proprio per questo suo rifiuto di concepire il lettore-ideale come passivo e superficiale, attraverso l’orrore per tutte le semplificazioni, il pensatore britannico dava, forse, persino, in anteprima, c’è da sperarlo, una nuova rotta al rapporto autore-lettori in cui i secondi riescono addirittura a capire “testi alla velocità del campionamento”; in un mercato editoriale, e cinematografico, subissato da numeri e statistiche, in cui la cultura prima di tutto deve avere una performance, leggere il cupio dissolvi delle vanità di Fisher è un po’ riprendere fiato dopo l’onda della letteratura scriteriata dell’altro genio americano a tempo, David Foster Wallace, che con Fisher condivide l’estrema conseguenza di una mente fin troppo esplosiva.

Scopriamo infine il dietro le quinte di quello che per molti è il più importante testo di Mark Fisher, quel Realismo capitalista screenshot degli Ottanta, che avrebbe poi riverberato nei decenni successivi, come accorato spunto ignorato dai movimenti di rivolta di tutto il globo (studenti e società civile, naufragati nel sangue del G8 di Genova del 2001), e che invece proprio dall’opposizione al modello post-fordista doveva partire per creare una vera alternativa al Mondo Unico, per dirla à la Orwell.
Per tutto il resto, c’è solo da leggere fino alla fine questi collected and unpublished writings, ringraziando le divinità sincretiche che (non) governano il mondo di aver dato alla luce questo brillio pulsante, la mente di Mark Fisher dopo Mark Fisher. Un respiro prezioso poco prima di re-immergersi nell’inquinata contemporaneità.