Death Metal (Piemme Freeway – Euro 15,50) di Tito Faraci è una discesa all'Inferno e una storia sulle strade sbagliate che si prendono per caso. E' una favola che parla di adolescenti, con il linguaggio e la stessa immarcescibile, sbagliata, smania di immortalità (falso!) degli adolescenti. Metafora dei bivi che ciascuno di noi si ritrova a prendere nel corso dei propri giorni. Alcuni lo fanno con dignità anche nelle difficoltà. Il resto, beh, per il resto leggetevi Death Metal.
Questa di Faraci è una di quelle favole cattive che tutti dovrebbero leggere. Una storia più nera del nero, che attacca lo stomaco e prende al collo, di quelle che ti lasciano senza respiro perché gli eroi non ci sono nel mondo che racconta Faraci. Ci sono solo i cattivi. E quelli che cercano di sopravvivere."Ognuno ha la vita che si è scelto. Fra quelle disponibili. Ricordatevi bene questo." dice l'autore.
Death Metal è la vita di cinque ragazzi come tanti. Lorenzo, Stefano, Matteo, Barbara e Walter: al secolo gli Snake God Hunters, gruppo death metal (per i non metallari: sarebbe una storia troppo lunga da spiegare. Magari, la prossima volta eh…)
I cinque se ne stanno andando belli tranquilli in viaggio verso il concerto della (loro) vita da "death metaller". A bordo di uno scassato, quanto mitico, Volkswagen Westfalia aerografato da uno dei tanti non-fidanzati di Barbara, i ragazzi arrivano in una terra di nessuno, che apparentemente fa rima con l'Oltrepò pavese ma che in realtà si svelerà per essere le porte di un incubo.
A un certo punto, colpa forse della nebbia forse solo perché l'inevitabilità è una brutta besta, si perdono.
Ma la nebbia non significherà solo perdersi. Di più, sarà perdita, e perdizione. Un camioncino inizia a lampeggiargli dietro, li tampona. Non c'è nessuno in giro. Si fermano per far passare il pirata della strada. Il furgoncino scompare. Ma poi, dopo poco, ritorna…
In una storia che mescola strpitosamente, come un riff di chitarra elettrica, il passato di uno dei protagonisti (e, NO, non vi diciamo quale) alla situazione incredibilmente cattiva con la quale il quintetto si trova di fronte, Faraci inanella un capitolo dietro l'altro con la capacità di sintesi di una sega circolare: facendo a pezzi tutte le illusioni, le scappatoie facili da autore nostrano che tanto vanno di moda in questo scorcio di inizio millennio di crisi dell'editoria. Faraci – scrittore, sceneggiatore per Bonelli, Marvel, Disney – attacca a bomba e non molla. Fino alla fine. Sarebbe inutile sprecare paragoni, chi vuole se li cerchi. Chi non vuole legga Death Metal.
Una scrittura feroce, che inizia fin da subito a grattare via le (poche) sicurezze a cui tutti noi ci rivolgiamo nei nostri (patetici) giorni. E lo fa in modo coerente con il "pezzo che sta scrivendo". Meta-narrazione della storia, Faraci inizia il libro dal capitolo -3, per poi passare al -2, -1… insomma, il gioco l'avete capito: è quello del three two one con cui le band attaccano di solito i concerti.
Tito Faraci ha compassione, ci fa trovare lì in mezzo ai ragazzi tritati, che non possono scappare dagli incubi di un'Italia apparentemente "pulita" (pag.219: "Negli ultimi trent'anni in Italia sono scomparse oltre 25.000 persone. Fanno quasi un migliaio, ogni anno. Quasi la metà, minorenni. (…) Decine di migliaia di persone svanite nel nulla. Mai più ritrovate. Mai più ritornate. In molti casi, partite da casa per andare in un posto dove nessuno le ha poi viste arrivare. Da qualche parte, lungo la strada, hanno preso una deviazione per chissà dove. Fermatevi un istante a pensarci. Potrebbe capitare anche a voi").
Ma la sua storia non ha pietà. Al limite mostra pietas. L'avventura raccapricciante che capita ai ragazzi mischia morti e morti ammazzati, tumuli e vittime sotterrate mangiate dai vermi, capelli di gentil donzelle ormai ridotti a "slimer". E, tutte le vie sono chiuse. Non c'è scampo.
Per chi scrive, unico punto debole: il personaggio dello zio Aldo, inizio e fine di tutto. E la sua strana, e non articolata affinità con il vero antagonista: il Lui cattivo per eccellenza, il mostro sopra i mostri, "primus inter lupus" (da homo homini lupus). Anche in questo caso, nulla da svelare, tutto da leggere. Chi è il mostro "vero"? Dove si annida?
La cover in questo senso forse un po' svela. Il cane nero sopra i capelli del chitarrista?
(…)
Death Metal è una favola moderna che sviscera bene tutti i temi che ne caratterizzano il nome. Il titolo schiude al mondo che promette. I protagonisti si trovano subito catapultati nell'Inferno che spetta di diritto ai metallari, con le loro T-Shirt piene zeppe di teschi, testi riempiti di citazioni egizie misteriose sulla rinascita, inni a demoni antichi e onnipervasivi.
I cinque ragazzi agiscono da soli, ma coerentemente con il fatto di essere una band si comporteranno in modo corale (e qui c'è la catarsi dei singoli che si sacrificano per il bene collettivo, increibilmente non più egoisti ma finalmente liberi di essere se stessi, fino alla fine).
Faraci poi ha una scrittura potente, evocativa, tagliente. Il libro è ambientato su territorio nostrano (gli SGH partono dalla Puglia per non-arrivare al Nord). Si fermano in un non-luogo del pavese. Ma Death Metal non parla certo solo d'Italia: racconta del più ampio mondo che è la "zona d'ombra" delle nostre anime, dei territori che abitiamo. Che, solo per comodità contemporanea, mascheriamo da posti di residenza (o in alcnui casi, come in quello di Walter, di "resilienza"). Ma sotto, ci dice Tito Faraci, c'è altro. E nelle strade che prendiamo, nei bivii che scegliamo, bisogna sempre stare attenti. O al limite, prepararsi al peggio.