L'incipit recita così. E in effetti, dopo sette libri e otto film, la saga più letta del Ventesimo Secolo termina. Harry Potter e i doni della morte – parte 2 chiude l'era del maghetto che ha sbancato tutti i botteghini del mondo, consegnando alla storia (che piaccia o meno) uno dei personaggi più riusciti della narrativa contemporanea.
Ad alcuni non sarà piaciuta la divisione dell'ultima puntata "I doni della morte", a molti di noi può essere sembrata una mera manovra commerciale. Riguardando il film (ho visto due volte sia la parte 1 che la parte 2) invece bisogna ammettere che la scelta è stata corretta, sicuramente anche remunerativa, chi dice di no, ma insomma per una buona volta potremmo lasciare da parte le valutazioni intellettuali e dedicarci a osservare e basta, no?!
La seconda parte de I doni della morte comincia là dove avevamo lasciato i nostri, ovvero sulla spiaggia dove viene seppellito l'amico elfo di HP, l'elfo "libero" Dobby. Il film di David Yates – che con questo arriva a quota 4 nella regia dei film del personaggio creato dalla scrittrice J.K.Rowling – in una parola sola è "risolutivo": tutti i nodi vengono al pettine, i personaggi crescono definitivamente (a cominciare da Harry, ma anche Ron che improvvisamente agli occhi di Hermione diviene persino "geniale", o del sempre più mitico Neville Paciock, fino ad arrivare alla professoressa McGranitt che, in quest'ultimo capitolo al cinema, si concede persino il lusso di una punta di humour), tutti i segreti vengono svelati. Un dubbio rimane su quanti cavolo di horcrux esistono, nel senso HP è l'ultimo ma Voldemort non lo sapeva, non lo sa nessuno, e allora perché tutti sanno che sono sette? (non ricordo o non ho studiato abbastanza…).
Ma questo è anche il film della battaglia finale. Con scene strepitose (il furto e la fuga dalla Gringott a dorso del drago che si vuole liberare è a dir poco strepitosa, a livello visuale e metaforico), ulteriori morti e sacrifici (tanti altri amici perderanno la vita per salvare il nostro). Con svelamenti e prese di coscienza. Con un Severus Piton ai massimi livelli, sia per portata emotiva (!) che per contributo di verità alla vita di HP.
In questo ultimo episodio tutto si scopre, anche che i buoni non sono buoni come sembrano (Albus Silente è figura sfuggente, dal passato misterioso, che tutto sapeva e proprio per questo tutto ha osato, ma anche tutti ha usato… forse… ma non importa). Silente non ci sarà materialmente nella battaglia finale contro Voldemort, ci sarà però Abelforth, il fratello del grande mago mentore di Harry (che però appare di nuovo a lui nel momento in cui Harry capirà cosa vuol dire la frase "Mi apro alla chiusura").
L'ultimo film di Harry Potter insomma ci consegna definitivamente (se ancora servisse) una magia importante da custodire: le parole che tutto possono, come dice appunto Silente a Harry, la verità che crea dopo la distruzione. I doni della morte: la pietra della resurrezione, il mantello dell'invisibilità, la bacchetta di sambuco sono simboli dell'eterna ricerca dell'uomo, del suo tentativo di incontrare il divino, nell'alterna vicenda della vita, dei suoi biancoscuri.
Un gran film e un gran finale (anche se a molti la scena finale potrà sembrare banale). Senza troppo altro da dire, che già ne avrete lette ovunque di cose su Harry Potter. Da questa parte della barricata, rimane la convinzione che pochi film come questi (tutta la saga, anche i primi film, anche quelli realizzati per i più piccoli) sono stati in grado di suscitare in chi ha avuto il coraggio di guardarli, veramente, quel "fanciullino" che tutto può perché tutto immagina. Mancherà Harry Potter. Rimane da ricominciare a leggere i libri. Per poi rivedere i film dall'inizio. E poi rileggere i libri e poi…