(versione integrale)
«Il mondo è multiforme». Maria Di
Donna in arte Meg è seduta sul divano di un albergo, a mezzanotte dopo il
concerto è in abito scuro, calze gialle, birra piccola a dissetare la voce
misurata, sinuosa, pacata. I concerti di Meg – ex voce dei
99 Posse – sono esperimenti di luce e ombra, narrazioni colate di tecnologia.
Da qualche tempo sul palco, con i suoi musicisti dj, suona con l’ausilio dei
cellulari. La dance mobile scorre
dritta, fili di suono che avvolgono l’aria, complici le riprese video di
registi specializzati nell’arte del visual. E punta oltre «arrivare a suonare
elettronica con un’orchestra di cellulari».
«L’idea di fondo è sfruttare un
oggetto come il cellulare, farlo suonare come device elettronica che, di volta in volta, si trasforma in sequencer, basso, synth…
Il touch screen
dell’iPhone ha una tastiera che si può “suonare”. Vorrei che, chi viene ai concerti, possa rendersi conto di quello che succede. Così stiamo lavorando affinché ai prossimi live, ci siano dei maxi-schermi che proiettino mentre suoniamo».
Nei live «è finita l’epoca del concerto fatto con il laptop, il live deve essere vivo non fredda esecuzione».
Così Meg punta dritta al cuore della tecnologia: il mobile. Ma la scelta non è casuale. Perché la musica è un “suono”complessivo. La
voce «si è evoluta, in momenti diversi: quando ho deciso di prendere lezioni di canto, ho scoperto nuove frontiere, prima irraggiungibili, mi ha fornito mezzi con i quali esplorare poi “zone nuove”; e questo, a sua volta, mi ha portato ad ascoltare cose che sono state in qualche modo cruciali per la mia evoluzione artistica, mi hanno portano in territori sonori sconosciuti». Ora «quando arrivo al mix di un pezzo, il momento finale di una canzone, finisco sempre per litigare col fonico perché vorrei la mia voce più “bassa”: in Italia invece la tradizione vuole la voce fuori dal mix». E continua «per me, come per la scuola anglosassone – Meg ha frequentato
l’università in Inghilterra ndr – il suono di ogni pezzo è un globo, la voce è al centro di una sfera, intorno ci sono gli altri strumenti. Ma forse, il fatto che componga le musiche dei miei pezzi, dalla linea di basso alla melodia, influisce sul pensiero che mi fa considerare la voce alla stessa maniera degli strumenti».
due tipi di cantanti: quelli sfrontati che vogliono la “voce in faccia”
e quelli più timidi, più rispettosi nei confronti degli altri
strumenti».
«L’aspetto tecnologico e quello
artigianale sono in qualche modo vicini, come rispondeva Morricone all’accusa
di copiare: “Ormai non si inventa niente dal Seicento”. Nella musica tutto si
può evolvere, ora ci si sta concentrando sulla riduzione del suono, sulla
modulazione e sul filtrare suoni, ma a livello armonico quasi tutto è stato
esplorato».
La tecnologia «progredisce per
“capitoli” e, se un musicista è curioso di esplorare, si possono sfruttare a
proprio vantaggio tutte le possibilità dell’esistente, del suono che esiste in
quel momento, in termini di conoscenze e tecnica. Così è successo quando è
uscito il “nuovo oggetto” iPhone, oppure quando ho scoperto che potevo fare
musica con il pc, invece di andare in uno studio: la tecnologia mi ha fatto
scoprire che con pochi mezzi riuscivo a creare». È l’approccio con le cose che fa
la differenza :«anche se usi un oggetto freddo, come il pc o l’iPhone, puoi
fare musica che emoziona. Si può tirare fuori l’emozionalità da tutte le cose;
ogni oggetto ha una sua musicalità, e un determinato “intervallo” di note
(do-fa, intervallo di quarta: quattro note), tutti hanno “colori” diversi. A me
piacciono gli ossimori, le contraddizioni. Così mi interessa la freddezza della
tecnologia unita alla musica, che continua a essere una delle forme ancestrali
di comunicazioni. Fin da bambina, immaginavo che l’uomo avesse in un certo
senso mutuato dalla natura il suo modo di comunicare: imitando gli uccelli, il
vento,… per vincere la paura, ha imparato a esprimere gli istinti primordiali.
Anche oggi, si canta sempre per vincere la paura…con la tecnologia».
Come Alice nel mondo delle meraviglie (musicali), Meg attraversa suoni e
colori. Un’artista eclettica e moderna (nel 2002 compone le musiche per La Tempesta di Shakespeare con il
progetto Nous, e recita la parte di
Ariel – lo spiritello dell’aria; nel 2008 esce il suo terzo album, Psychodelice). Una carriera Varius Multiplex Multiformis… come
diceva l’imperatore ne Le memorie di
Adriano di Marguerite Yourcenar. E l’elfo piccolo Meg ha fondato anche
un’etichetta, la Multiformis, per
evolvere musica elettronica in libertà, usando tutto, senza dimenticare Napoli
terra di contraddizioni, i cellulari, il teatro, il pc… i sogni.
La parola Nous in un certo senso intende la musica come intelletto cosmico,
la creatività è materia «e Shakespeare ancora una volta viene a darmi una mano,
ne la Tempesta Prospero dice: “Noi
siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni…”. Ecco, anch’io
credo che quello che ha mosso i miei passi finora sia stata proprio l’idea di
realizzare un sogno: la volontà di materializzare qualcosa dal nulla, un
comportamento che se vuoi un po’ somiglia alla mania di onnipotenza dei
bambini… ma è stato stupefacente scoprire mentre crescevo che, questa passione,
potevo farla diventare un lavoro, sebbene in Italia non ci sia questa idea del
musicista… inteso come “mestiere”.
I veri sognatori sono quelli che riescono a tenere i piedi bene a
terra».
Meg viene da Torre del Greco,
Napoli. Sud e linguaggio stabiliscono il porto di partenza dell’artista, ciò che
nel viaggio diviene visione del mondo «Mi porto appresso questa percezione
parallela delle cose, come se dentro di me ci fossero due opposti che viaggiano
in contemporanea: forse perché Napoli è la città degli estremi con un popolo
che oscilla, violentemente, tra un’umanità dalla tenerezza unica e, forse, una
delle popolazioni più feroci, bestiali, che conosca: in poche zone della Terra
trovi atti di violenza come quelli che si compiono quotidianamente nei
territori dove sono nata: è questo che mi ha dotato del mio sguardo, che ha
influenzato il mio modo di vedere le cose. La mia terra ha paesaggi bellissimi,
i Greci quando arrivarono nella “zona flegrea” la chiamarono la Valle degli
dei… però, poi, tutto questo viene deturpato, dalla camorra dal business e dal
silenzio delle istituzioni. Nella mia musica, c’è quindi questa idea, di essere
un abitante alle falde dell’Impero, un luogo dove ti muovi in un sistema senza
regole, dove ciò che ti è caro tra poco potrebbe esserti strappato». Tornando alla musica, al suono.
Meg come "mega", dimensione-materia, ma anche come
"megahertz" e frequenza. La sua carriera artistica è frutto di
contaminazione e condivisione: tre album totalmente diversi (con i Nous, La Tempesta, 2002; Meg, 2004; Psychodelice,
2008 ndr), video-produzioni, la
varietà di Meg è risultato di creatività condivise: «Quando produci insieme ad
altri, stai prendendo spunto da un mondo diverso dal tuo solito, mastichi
parole nuove, fai tue le parti di un’altra persona che non sei abituata a
pensare: si impara sempre dall’altro».
E poi «la contaminazione è il contrario di tutto ciò che è “puro”, che per me
significa “antipatico”, “irreale”: una cosa se “non pura” forse è più vera
perché non è facilmente iscrivibile in un recinto». In effetti, «la collaborazione
con Stefano Fontana, che ha un approccio alla produzione da dj (mentre io ce
l’ho più da cantante), è una cosa ha prodotto questo disco, Psychodelice, risultato imperfetto tra
il suo minimalismo e il mio barocchismo napoletano – di melò – nel quale siamo riusciti a unire due mondi (armonici)
lontanissimi».
Le collaborazioni migliori sono
quelle attuali «Carlo Rossi, Mario Conte, e Umberto Nicoletti… con cui
collaboro anche ai visual, all’audio e ai video: un professionista con cui
sento di avere la possibilità di tradurre in immagini i miei album, fino al
“concetto grafico” del cd». Multi-forme di linguaggi: Meg ha
capito come far comunicare il mondo piccolo degli elfi con i display degli
iPhone. È riuscita a farne musica.