Durante la tre giorni
dell’hackmeeting di Palermo – HackIt08 – c’era anche il gruppo Ippolita
un progetto collettivo che ha al suo attivo due pubblicazioni copyleft. «In
questo momento di occupiamo fra l’altro di scritture collaborative e di
costruzione delle identità online» dice K., uno dei membri del gruppo. «I
contenuti in rete sono esplosi. Ma non basta aprire un blog; se il link è la
cosa più importante perché costruisce il Web, la sua diffusione a milioni di
persone senza nulla da dire porta spesso all’estremizzazione del social
network». Una problematica già sollevata nel 2007 con la pubblicazione Luci e ombre di Google (Feltrinelli) –
scaricato da 30.000 utenti in un anno, già tradotto in francese, ora in
spagnolo, si spera in inglese – «lì partivamo dalle comunità digitali per
arrivare al 2.0 oggi volgarizzato nei vari MySpace». Google per Ippolita è lo Zeitgeist, l’emblema di un’epoca: «usare
la tecnologia esige una formazione adeguata. E non si possono ignorare i
movimenti complessi (anche, ma non solo economici) generati, confidando che sia
tutto gratis e per il nostro bene».
«Noi
descriviamo Google – prosegue K. – ma l’importante non sono i computer, né
internet, né chi lo fa: se hai un interesse e ti metti in relazione adeguata,
quel gruppo di affinità può proporre strumenti, costruire un’identità multipla e
condivisa, creare conoscenza». Buona parte dei social network «come Facebook,
hanno effetti ghettizzanti e omofili. Dialogare solo con i propri simili è il
contrario dell’apertura della scrittura collaborativa, che è invece un metodo
tra individui affini, non identici, un network di relazione, tra competenze
portabili, dal basso».
In
proposito, una questione interessante affrontata a Palermo è quella della
DataPortability, che rilancia sulla questione del web 2.0 con un seminario sul
3.0. Dice ancora K.: «Il 95% del cosiddetto web 2.0 è rumore di fondo o auto-promozione», una posizione già espressa
nell’altra pubblicazione di Ippolita, Open
non è free (Elèuthera, 2005). Tornando all’hacking, Phrack, la storica e-zine underground, nell’ultima uscita (n.65,
articolo 13) ha pubblicato «The Underground Myth» in cui si racconta come a
furia di lavorare come Black Hats, gli hacker hanno accelerato la chiusura di
molti «spazi di libertà online» (emblematico il caso The Pirate Bay in Italia – il più grande tracker di torrent ndr). «La curiosità è la forma mentis degli hacker, utile per
capire cosa si vuole dalle tecnologie, e non il contrario. Oggi Microsoft,
Yahoo, Google, ecc. si stanno mettendo d’accordo per unificare le informazioni
sui vari account degli utenti (ma anche altri si muovono.
Problematiche così universali non possono essere delegate a tanti monopolisti
uniti in cartello, è una questione di libertà e quindi va gestita dai singoli,
dalle reti di affinità, dalle freenet». Gli speech si trovano su http://hackmeeting.org.
Prossimo
appuntamento? «Il 6 novembre siamo invitati per i 10 anni dell’Università
Bicocca di Milano insieme a Geert Lovink (autore di Zero Comments-Teoria critica di internet, Bruno Mondadori, 2008 ndr)».