La prima volta che lo ascolti rimani stralunato, come di fronte al piccolo principe di Saint-Exupéry.
Mi sono bastate due volte per imparare ad apprezzarne la complessità dell’accadere in musica. La ricerca di John De Leo è esercizio d’aria.
Ascolto singolo. Di silenzi concentrati. Vissuto di uno strano abbandono. Poi le note entrano in circolo, e rimane lo stralunamento. Ma d’entusiasmo per un bene prezioso, il cd, la musica contenuta nel supporto, che non è solo prodotto. Ma produzione.
Senza fare l’apologia di uno degli artisti italiani più interessanti e richiesti all’estero, l’album – uscito lo scorso novembre – è emotivo come un cd di classica contemporanea. Teatrale. Istrionico, chansonniers d’epoche ironiche e leggere. Gesto d’autore. Non esercizio di stile. Ma dote, nel senso di dono: alla libertà di essere attraverso l’esprimersi. La voce. E dote al pubblico, perché non è facile incontrare il Bello quotidianamente. E JDL invece, questo, lo riesce a fare, almeno intuire.
Da Demetrio Stratos e gli Area, da Suonare La Voce, nessuno era stato più in grado di articolare ricerche dell’identità tramite il suono. Scoprire se stessi, e farlo in viaggio. Durante l’attraversamento del Mondo, compiuto attraversando la Voce.