Aspettando Bojangles

aspettando bojangles

Quando ho incontrato Olivier Bourdeaut abbiamo parlato di Francis Scott Fitzgerald, del fatto che per scrivere Aspettando Bojangles (Neri Pozza, Euro 15) sia stato l’amore tra Francis e Zelda, l’enfant prodige della generazione perduta e la folle magica musa, a essere motore, sottofondo, ispirazione – se ne esiste una – affinché l’autore Bourdeaut riuscisse a tirarla via, la sua storia, e strapparla al vento della mitologia.
Tra le righe di Bojangles, le note sofisticate di Nina Simone che accompagnano questa partitura in un unico atto, non è tanto e non solo la follia giocosa dei tre personaggi principali a farci entrare nel vortice danzante, la musica dell’esistenza: l’io narrante, il bambino che guarda con occhi magici, perduti, il mondo; e nemmeno il padre professionista “mentiroso” (menzognero, ma qui lo spagnolo è d’uopo) e audace inventore di storie; né solo la madre-Zelda del bambino, la sposa dell’uomo, la donna vertigo-virgo-virago che tutto colora, con mille nomi e che, nella sua alzata di testa, la sua sfida al mondo, a poco a poco impazzisce.
Il romanzo di Bourdeaut ha venduto 500.000 copie solo in Francia, tradotto in oltre 30 lingue per altrettanti paesi. Un caso editoriale. Numeri che in Italia fanno girare la testa, ma la Francia è la Francia, ha un’altra distribuzione, altro numero di lettori.
Eppure, parlando con Olivier non è il successo alla base della sua storia, ma la delicata resistenza alle intemperie della vita, le stesse che hanno permesso all’autore – nato nel 1980 in una casa affacciata sull’Oceano Atlantico si legge sulla biografia – di scrivere una delicatissima, sghemba, storia d’amore che si risolve in un pugno allo stomaco. Forse troppo, “ma d’altronde spesso la vita è fatta in questo modo, e va benissimo così” scrive Bourdeaut, cosciente dell’audacia delle parole, dell’alcol ingollato a fiumi da Fitzgerald, in fondo anche lui considerato un Maestro solo dopo la morte, quella di Zelda, vite alla deriva. Lo stesso Olivier prima di riuscire a pubblicare il romanzo ha collezionato molti rifiuti, forse si è chiesto se ne valeva la pena. Come tutti noi. Fino a che le piccole Éditions Finitude hanno creduto nella sua idea folle, la sua storia gioiosa. Di lì il successo, i voli oltreoceano, le royalties, il proprio nome inciso nell’Olimpo della letteratura contemporanea internazionale (tra le traduzioni, giapponese e brasiliano).
Eppure. Sotto il testo di questa parabola laica e senza mistica, la traiettoria della malattia della madre-donna è simbolo d’intelligenza e magia. I pazzi siete voi, sembra dirci l’autore tra le righe. Gli ospedali, i bancari, le donnette invidiose, i maschi alla ricerca d’avventura fugace senza neppure lo stile, la classe – il jazz drammatico e contemporaneamente festoso della canzone che dà il titolo al libro – senza neppure poterselo permettere.
Forse in Italia lettere così poeticamente pesanti così leggere le ha scritte solo Alda Merini. Che di pazzia e d’acqua se ne intendeva, eccome.
Olivier Bourdeaut ha 37 anni, vive in Spagna. Trovare scrittori contemporanei “perduti” oggi, nel mondo-social dislocato, altrove, è straniante e bello, divertente e malinconico come la canzone di Nina Simone, i giorni perduti, la poesia, gli amici, la nostra infanzia finita chissà dove, la purezza scaltra dell’essere bambini, forse un po’ folli proprio per questo fatti di sogni, senza retorica romantica, poesia.
C’è solo da aspettare il prossimo giro di note, la prossima follia jazz di un autore che sa che tutto è perduto. E proprio per questo va raccontato.