labbra

Papaveri
Quando le ho incontrate mi sono sembrate morbidissime e saporite. Come di verdure pastellate. Mi è venuto da ridere, comunque, erano buonissime.
Il sapore della
saliva ce l’ho avuto addosso tutto il pomeriggio. Era una saliva densa,
buona, che nutriva come la bocca e la fame, che tanto non ce l’ho mica
mai. Invece le labbra si, di quelle mi era venuta pure, la fame voglio
dire.

L’avrei preferite più con calma per esempio. Perché poi il sole, il vento, l’aria, lo smog, le persone che aspettano, rendono tutto più transitorio, rendono tutto più veloce e meno poetico invece. Come dovrebbe.

Mi sono accorto che avrei voluto accarezzargli la testa e le ciglia, e le labbra pure e allora l’ho fatto. Di accarezzargli le labbra intendo. Che mentre ci baciavamo con la sua saliva di sabbia e spugne del mare gliele toccavo. Le labbra morbide, che le sento anche adesso sulle mie. Mentre coi denti mi stuzzico il labbro inferiore sul lato sinistro e lo segno al passaggio coi denti e il respiro, il suo. E allora gliele avevo morse, le labbra, però piano. È strano perché invece di baciarla con rabbia e passione, mi era venuto di fermarmi. Carezzarle la testa, i capelli arruffati sulla fronte piccola, bianca. Con gli occhi verdi della rivoluzione e della testa matta, che non pensa a proteggersi e dona la vita. Per le idee e per gli ideali pure, ma soprattutto per gli uomini. Che la storia la fanno mica la perdono.

Lei quando bacia ti cerca la bocca e ti riempe la faccia, con la lingua che cerca le labbra e i denti e la bocca pure. Un cucciolo che abbaia e sorride, che aspetta che stai ma anche no. Per fortuna sa proteggersi bene, dimenticandosi presto che esisti. Ma le mani, invece, cercano e stringono, intorno alla vita e in mezzo ai capelli. A stringere forte come a non voler perdere. Non questa volta non più.