Autunno di Ali Smith

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Scrivere di cose minuscole. Della vita interrotta. In modo interrotto, e piccolo. Cristalli e prismi di parole. Frasi e personaggi che vivono, minutamente, ininterrottamente, nel tempo che non esiste, nel Tempo, nel tempo improvviso, per poi accorgersi che in fondo stiamo tutti naufragando: “Era il tempo peggiore e il tempo peggiore. Di nuovo. Perché le cose a un certo punto questo fanno. Crollano”, è l’inizio di Autunno di Ali Smith (Big Sur, Euro 17,50 traduzione Federica Aceto). Uno dei romanzi contemporanei più interessanti, insieme all’altro capolavoro della stagione mite del presente, quel Riparare i viventi di Maylis De Kerangal già sbarcato, invero sottotraccia, al cinema.
Ali Smith, nata a Inverness nel 1962 quattro volte finalista al Booker Prize, intreccia nella sua mezza stagione di foglie e alberi, caducità impressionista, le vite di due esseri viventi, il personaggio maschile, il respiro forse in coma quasi sicuramente disperso nel tempo, quel Daniel Gluck che apre il libro con la sua deriva, il sogno post-onirico, simil-reale, per immergerci nelle acque del fiume che ci trasporta tutti; e la vita di lei, l’altro minuscolo, piccolo inverno, la vita di Elisabeth Demand (Elisabeth con la “s”), la vita di questa donna che esce quasi dalle pagine, intrecciata alla vita di Daniel, del signor Gluck come vuole che lo chiami la madre di lei.
La scrittura di Smith è miracolosa. Passa dall’imperfetto all’impasto di un presente continuo che non conosce ostacoli, coniuga pensieri trapassati (Daniel) all’ossimorico ricordo futuro, condizionale, possibilista (Elisabeth). Il contrasto tra i giorni e la poesia: Daniel che insegnava a Elisabeth bambina come si raccontano le storie: la parabola dell’uomo col fucile e dell’uomo vestito da albero, fino alla coniugazione post-apocalittica del finale. E il quotidiano di Elisabeth: con la madre alle prese con un casting per entrare nel programma di ricamo, Elisabeth all’ufficio postale per rinnovare il passaporto, che incontra il postale (due volte lo stesso concetto impiegato con sfumature diverse, è qui il miracolo di Smith, che dura per tutto il libro, difficile da ridurre alla parola romanzo), l’uomo delle poste che le pone muri – ricordiamoci il concetto di muro attaccato al concetto di quotidiano, di bega, di fila all’ufficio postale, muro come prossimità e cosa banale, di tutti i giorni ndr – Elisabeth che non ne può più della burocrazia inglese (solo inglese? Non è la burocrazia che ci sta rendendo tutti più sterili? Più bui? “Uomini grigi” come in Momo, ancora di più, tecnofili sottomessi, acquiescenti al diktat delle gig Tech, delle telefoniche, delle aziende che ci trattano da metadati, che possiamo esibire nei documenti solo passando attraverso le loro filiali, succursali, i loro scagnozzi digitali).
La storia di Daniel che vive nel suo limbo concreto, Elisabeth che entra nell’ospizio, nell’ospedale, cosa importano le definizioni quando di mezzo c’è la vita, sembra dirci in controluce dalle sue pagine vive Ali Smith, cosa importa tutto, quando di mezzo c’è la sottile stilla desossiribonucleica, linfa vegetale, resina viva che ci tocca al mattino, nel pulviscolo dell’alba fresca, nelle striature azzurrine sopra le nuvole, sotto le nuvole, ripetutamente, un miracolo che è proprio dei fiori e dei calabroni corazzati che ne suggono il nettare, dello scontro titanico fra i venti, a migliaia di miglia in alto, e sottoterra, nelle verità sotterranee, humus a svelare, mischiare, registrare cambi e percezioni e mutamenti. Nella stagione del mutamento della vita. Autunno.
Ali Smith scrive e descrive, trasla e rubrica eventi. Appunta il nostro presente, la contemporaneità intrisa di sciatteria, razzismo cialtrone, siamo tutti annoiati, gente qualunque ormai così poco elegante (che bello invece Daniel, omosessuale? Ballerino? le chiacchiere, le chiacchiere ciarliere della “gente”, analizza tutto Smith, i social i like e tutto il resto, senza nemmeno parlarne). C’è spazio per il rebour, nella codifica narrativa di questa autrice, autrice poi perché non si potrebbe parlare semplicemente di autori senza distinzione di genere? Esistono storie per uomini e storie per donne?, di nuovo una domanda in tralice, sempre merito di Autunno : “Un attimo fa era giugno. Ora il tempo è quello di settembre.  Le messi sono alte.”
E poi Smith attacca, attacca i pezzi e attacca noi. Le nostre idiosincrasie, le nostre facili liquidatorie banalità, farfugliate mentre da qualche altra parte una lucertola striscia a terra e si nasconde tra l’erba e la polvere, un asciugamani è steso ad asciugare la salsedine, le onde del mare continuano a infrangersi a riva, blandamente, a cullare il mondo.
Ma attacca anche la nostra società, e qui il discorso si fa ancora più politico. Uscito in Italia nel maggio 2018, Smith ha scritto il suo romanzo (romanzo) nel 2016, prima che almeno qui in Italia si parlasse di impegno politico degli scrittori, al netto delle bagarre sul primato di chi decide di stare in prima linea e chi invece preferisce fare la guerriglia nei giorni. Smith detta al suo io narrante, ai suoi characters, alle sue esibende, la necessità di attaccare la patina a ciò che ci ha stranito fin dagli esordi di questi anni Duemila. Il 9/11, Zero Dark Thirty, l’Afghanistan, lo sgretolamento delle sinistre, i 150 anni dal Capitale di Marx (Engels), il governo del rifiuto e del primatismo (del primato, del primate?): l’America first di Donald Trump che ha shockato mezzo mondo “Il potere della bugia, disse Daniel. Fa sempre colpo su chi non ha potere”, ma mezzo no, il governo giallo-verde italiano solo l’ultimo dei tasselli dello sgretolamento dell’idea di Europa: gli attacchi dell’Isis a seguito dei quali tutti ci siamo spaventati, e allora più controllo e ordine, allora più fucili nelle strade (mentre forse saremmo tutti uomini-albero nella storiella che Daniel racconta a Elisabeth). Allora la signorina Libertà che porta a spasso il T-Rex della vignetta francese, specchio della nostra società in cui il range ormai è tutto tra controllo e spazio di libertà, tanto più serreremo il guinzaglio (i muri, di nuovo, gli sbarchi, i “negri” che sono troppi e allora rimandiamoli a casa loro, ma cos’è “casa”? Si è chiesto perfino il Papa, tanto per rammentarci in che epoca di dubbi siamo finiti ndr). “Rassegnatevi. Crescete. Il vostro tempo è scaduto. E’ la democrazia. Avete perso. Come se la democrazia fosse una bottiglia che uno brandisce minacciando di spaccarla e fare un macello.”
Ali Smith ci sfida, sfida non solo il lettore che siamo. Ci sfida, scrittrice engagé (ingaggiare, che bella parola), ingaggia una sfida con la nostra morale, ma ne abbiamo più ora che tutto è saltato e vale solo la noiosa noiosa noiosa celebrity, a colpi di fard in falsa diretta. Possibile che nessuno se ne accorge più di tutto questo orrore, domande da Smith sulla nostra ipocrita connessione al mondo, mentre abbiamo lasciato tutto ai cavi, alla fibra, i nostri sentimenti che nono provano più empatia se non per il tempo concesso dal wi-fi: “Ma il mare? Silenzioso, come in un sogno. La ragazza? Nessuna traccia. Le ragazze che danzavano attorno a lei? Non ci sono più. Sulla riva, però, c’è un corpo portato dalla corrente. Si avvicina per guardarlo. E’ il suo? No. E’ di una persona morta. Poco più in là c’è un altro cadavere. E poi un altro e un altro ancora. Guarda la fila scura dei morti abbandonati lì dalla corrente. Alcuni sono bambini molto piccoli. Si accovaccia accanto al corpo gonfio di un adulto che ha un bambino, un neonato, ancora stretto nel giubbotto chiuso con la lampo; il bambino ha la bocca aperta d cui gocciola il mare, la testa morta appoggiata contro il petto gonfio dell’uomo. Poco più in là sulla spiaggia ci sono altre persone. Sono esseri umani, come quelli sulla riva, solo che sono vivi”.
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(c) New York Times

E noi che non piangiamo più. Noi che non siamo che schermi di silice ormai, sembra dirci l’autore Smith che non è né donna né uomo ma essere umano. O forse è solo la coscienza che abbiamo perduto, nei flutti delle onde elettromagnetiche. Che fine ha fatto l’uomo?
E Smith Diogene a metterci davanti il tempo peggiore e il tempo peggiore. Che non è ancora arrivato, nonostante (1) il mondo sia ancora qui, nonostante (2) tutto.
Smith centrifuga, il presente e l’attacco terroristico di V for Vendetta all’Old Bailey, la storia misconosciuta di Christine Keeler, Daniel “vecchia checca” (quanto ci divertiamo a insultare gli altri, epoca degli haters, ma chi siamo veramente per dare giudizi sugli altri, quanta professione abbiamo per scrivere una recensione, in nome di chi? ndr). Smith non fa sconti, Smith e Daniel la poesia di Daniel, Daniel che insegna Keats alla bambina Elisabeth, il j’accuse della madre di Elisabeth, il personaggio-madre secondario, popolo e banalità, che si scaglia contro sé, contro voi e me, contro tutti, uscendo dalle righe del libro, di nuovo libro non romanzo, e si dichiara: “Stanca delle notizie. Sono stanca del mondo in cui vengono spettacolarizzate cose che nulla hanno di spettacolare (…) stanca del livore (…) dell’egoismo. Sono stanca del fatto che non facciamo niente per fermare tutto questo. Sono stanca del fatto che anzi lo incoraggiamo. (…) Sono un mattone sott’acqua, pensa Elisabeth.”
“In tutto il paese il paese si era diviso in mille pezzi. In tutto il paese gli altri paesi cominciavano a staccarsi. In tutto il paese il paese era diviso, una recinzione qui, un muro lì, una linea tirata qua,
una linea superata là,
una linea da non superare qui,
una linea che è meglio non superare lì,
una linea di bellezza qua,
una linea di febbre là,
una linea di cui non sai nemmeno l’esistenza qui,
una linea di povertà lì,
una nuova linea di fuoco,
linea del fronte,
capolinea,
qua/là.”

Smith scrive Keats e scrive della Brexit, decodifica il reale il presente la contemporaneità senza più nemmeno bisogno di punteggiature, linee, demarcazioni, tutto è saltato e allora la forma deve evolvere, le narrazioni devono diventare altro. Come nella linea di pensiero dell’altra Smith, Zadie, che nel suo Cambiare idea (minimum fax, 19 euro) scrive: “Ciò che gli scrittori del ventunesimo secolo ereditano da Eliot (George ndr) è la libertà rivoluzionaria di portare la forma romanzo verso i suoi limiti, quali che siano”.
Autunno di Ali Smith, non si vorrebbe mai finire di leggerlo. Ricorsivamente, reiniziarlo a rileggere. Per fissare ciò che non si è compreso la prima volta, la seconda, significati su parole, ipotesi da verificare, notizie sulla contemporaneità, caleidoscopio quotidiano, noi, noi, loro, chi siamo, noi ancora noi, Elisabeth e Daniel, il labirinto che non conosciamo ma dentro il quale viviamo, tra le fronde e i rami di abeti rossi, tenui cambiamenti prima che arrivi l’autunno.