Museo dell’areonautica Gianni Caproni

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Con gli occhialoni e i caschi di pelle, le ali traballanti di stoffa, la fusoliera costruita col legno. Così i piloti della prima guerra mondiale affrontavano i cieli e il destino. Eroi che sarebbero caduti più per inesperienza che per soli problemi tecnici. Per compagni di viaggio eleganti carlinghe affusolate, improbabili silhouette di giganti dell’aria fatti apposta per non decollare, ma come alcuni sanno anche il calabrone vola perché non lo sa…
Entrare al Museo dell’areonautica Gianni Caproni di Trento è un’esperienza che andrebbe fatta almeno una volta l’anno, durante tutto il corso della vita.
Esemplari della collezione privata Caproni, ceduta qualche anno fa dagli eredi del genio del volo, alla provincia di Trento. In molti riconosceranno alcuni degli aerei più famosi che hanno solcato i cieli di mezzo mondo: il daVinciano Ca.9, il Ca.163, il mastodontico Ca.90, l’Ansaldo Balilla 1 e l’Ansaldo S.V.A.5, così come il Breda 19 legati al nome di alcune di quelle aziende costruttrici che fecero grande l’industria italiana in inesorabili, tremendi, audaci tempi di guerra. Ma soprattutto due aerei legati a uno dei registi di anime più amati di sempre: Hayao Miyazaki (premio Oscar per la La città incantata, autore di altri film a tema “aereo” tra cui Nausicaä della Valle del vento e Il castello nel cielo, fino all’ultimo Si alza il vento in cui la figura di Caproni è personaggio e ispirazione per il protagonista ndr) che proprio dei due aeroplani ha eternato la figura e l’idea: l’avveniristico Transaereo Noviplano (nella foto a destra) che cadde per una manovra avventata del pilota, e il Ca.100 Idro (nella foto a sinistra) idrovolante dalle linee eleganti utilizzato dal regista come modello del suo improbabile pilota divenuto maiale, Porco rosso.
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All’interno del Museo anche tre simulatori di volo – si può entrare nella carlinghe originali, ora dotate di software per provare le abilità dal volo all’atterraggio guidato – un hangar che accoglie gli aerei più moderni, compreso quel Ca.193 che l’ingegnere costruì per simboleggiare lo spirito intraprenditoriale dell’uomo d’affari degli anni Cinquanta, la ricostruzione della vecchia officina, televisori e immagini d’epoca, vecchie foto e disegni che tanto somigliano a quelli di Leonardo (v. sotto, bozzetti della macchina volante), ordigni e cimeli, persino una lettera firmata Gabriele D’Annunzio, poeta aviatore del vivere inimitabile, che fu grande estimatore del lavoro del “maestro”.
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Camminare all’interno del Museo e rivivere l’epopea di Gianni Caproni, nato alla fine dell’Ottocento ad Arco allora territorio austriaco, laureatosi in ingegneria al Politecnico di Monaco di Baviera, morto a Roma 1957, significa ripercorrere alcuni degli anni più densi della grande Storia del secolo scorso: la prima Guerra mondiale, il fascismo, gli anni della ricostruzione, i grandi ideali e gli slanci dell’uomo prima dell’avvento della tecnologia.
Ultima nota logistica e propositiva: il Museo sorge a fianco dell’attuale aeroporto di Trento, la costruzione rosa e viola forse meriterebbe un progetto architettonico nuovo, e chissà che l’amministrazione un giorno o l’altro affidi a uno dei grandi nomi dell’architettura (Renzo Piano ha realizzato il MuSe-Museo delle Scienze di Trento) il rinnovamento della sede.
Il Museo Caproni di Trento è esperienza e progetto, luogo magico che accoglie l’eredità e il pensiero di uno di quegli uomini eccezionali che hanno dedicato la propria esistenza alla realizzazione di uno dei grandi sogni dell’umanità, in questo caso il volo.